Genova città sostenibile ed esperienziale?
Durante la
tragica stagione del coronavirus, ho letto nel 2021 su “Il fatto quotidiano” un lungo pezzo a firma Filippo Maria Pontani (Un vecchio
inizio: il turismo-merce) sui destini di Venezia. Più che letto, me ne sono
imbevuto, trattandosi di un testo di struggente bellezza e, sebbene
veneziacentrico (mi si passi l’orribile neologismo), gravido – in realtà - di
riflessioni e spunti circa l’avvenire di molte città turistiche
d’Italia. Genova, dove io vivo e lavoro, è ormai a pieno titolo tra
queste, con una riconversione che risale all’inizio degli anni ‘90.
Cosa non è turismo?
Il turismo,
sia consentito premettere, non è (Deogratias non è più) considerare un luogo
come un cespite di ricchezza da cui trarre ogni profitto possibile,
incentivandone ogni possibile fruizione da parte dei visitatori… Ciò che è
accaduto in quelle mete ormai da black list quanto a sovraffollamenti e
crowding out la dice lunga circa i turismi di massa e le (limitate)
capacità di carico di un bene, che via via viene consumato sino all’usura…
Cosa è turismo?
Il turismo perciò, nella (non solo mia) visione, è viceversa il passato (l’heritage inteso come globalità dei patrimoni storici di un luogo) che convive virtuosamente con il futuro. Ed è la presenza umana (residenti, operatori, ospiti…) che convive con l’ambiente naturale. V’è molto poco di astratto in queste dualità, chiamate continuamente ad una positiva interazione, tanto in un vicolo di centro storico fra antiche mura, ardesie ed edicole votive, quanto su un sentiero a picco sul mare, fra muretti a secco, flora e fauna.
Destinazioni smart e città pensanti
Gli
amministratori appena possono chiamano “smart” le proprie città, ma poi nel
quotidiano ecco i servizi scadenti, i cassonetti straboccanti di rifiuti,
l’inquinamento da traffico, il degrado, le contraddizioni urbanistiche e i
brownfield, il dissesto idrogeologico, le criminalità che si contendono le zone
per lo spaccio di droghe.
E
dove la qualità della vita è bassa ecco la sindrome del vetro rotto,
la fuga dei talenti, la difficoltà di attrarre imprese e investimenti...
Ma, e qui
taluni mi troveranno eretico, in realtà le destinazioni turistiche
(affascinanti di per sé) sovente non necessiterebbero di grandi progetti e
denari, o di vuoti slogan promozionali-elettorali, ma di grandi persone. Capaci
anche di praticare l’utopia, ad es. dando voce non sempre ai soliti noti, ai
poteri forti, alle consorterie, agli interessi corporativi magari in lotta fra
loro…
Io mi sono
occupato molto di Genova, e molto ne ho scritto, dedicandole da addetto ai
lavori i capitoli centrali del mio primo e del mio ultimo saggio, rispettivamente
“Alte stagioni. Modelli per il marketing turistico” (genn. 2006), pp. 85-95, e
soprattutto “Libro bianco del turismo esperienziale. Prospettive (in Liguria)
per territori, cultura, imprese" (dic. 2018), pp. 120-142
(approfondimenti a questo link).
Ispirando
talora il mio ragionare, lo confesso, a Richard Florida, un sociologo – ma
quanti l’hanno letto a fondo? - che prima d’altri comprese quanto le città
“pensanti” via via divenissero più future oriented, alludendo a quelle città
dove la creatività “condiziona” economia e società, e fertilizza
idee, conoscenze, innovazione, welfare. In tal senso la presenza e il dinamismo
di scienziati, insegnanti, artisti, architetti, biotecnologi, direttori di
musei, massmedia, event manager (un mix eterogeneo di know how…) rappresentano,
se messi in condizione di poter compiutamente operare, il vantaggio competitivo
(bellissima espressione) di quel soggetto-città che li ospita al proprio
interno, a maggior ragione ove li sappia integrare gli uni agli altri.
Il turismo, guarda caso, costituisce già da sé un contesto, ad alta intensità di lavoro e contatto, dove s’integrano molteplici professioni e ruoli, del marketing, del management, del front e del back line... Il turismo è il viaggio, il treno, il volo, la crociera, la visita guidata, l’attività fisico-sportiva, l’esperienza enogastronomica, l’acquisto nei negozi, il corso di artigianato… Nutre di sé una gamma di professioni che i giovani amerebbero svolgere, professioni che tratterrebbero quei giovani sul territorio, senza costringerli a migrare… I giovani, priorità numero uno di un Paese che voglia dirsi civile.
Genova, formarsi alla città sostenibile ed esperienziale
Genova, come
capoluogo della Liguria e “capitale” della mediterraneità, avrebbe bisogno
di un corso di “alta formazione” (ma non fossilizziamoci sull’espressione
lessicale e viceversa badiamo al sodo) per via via consolidare, con l’apporto
dei giovani, l’immagine di città sostenibile ed esperienziale, competitiva nei
confronti di quei concorrenti cui per varie ragioni contende i target
(Marsiglia Bordeaux Bilbao Porto Napoli Siviglia Anversa Strasburgo
Salonicco…).
Si badi: non
città per turismo sostenibile e/o esperienziale, bensì città sostenibile
ed esperienziale (ovvero che è già tale per chi vi abita).
Ove l'Europa parla di "green new deal", intendo un corso di nuova
concezione, interdisciplinare, basato su metodologie didattiche da flipped
classroom, casi studio operativi, buone prassi italiane ed estere, swot
analysis, testimonianze di imprenditori, costruzione di mindmap e storyboard
per disegnare forme di accoglienza turistica sempre più immersive, sensoriali,
emozionali, all’insegna di quel genius loci che noi per primi
avvertiamo così nostro e peculiare…
Da tale corso potrebbero gemmare start up, e stage particolarmente qualificanti
dentro aziende e organizzazioni. Potrebbero gemmare collaborazioni specifiche
con le scuole, e output produttivi come ad es. dossier d'intervento su
tematiche "calde" per la città...
A Genova, in particolare, v’è tutto un forziere di risorse turistiche
sottoutilizzate (guardiamo il bicchiere mezzo pieno) e di “link” cui attingere,
dal trenino di Casella all’acquedotto storico, da Staglieno all’arte
contemporanea, dal food delle “delegazioni” alla cinta dei forti, dalla
Lanterna alle ville-parco, da alcuni musei a...
E questa sarebbe una terra dove puntare prioritariamente al segmento “silver”??
La domanda
che sceglie “marca Italia” (malgrado tutto, ciò che ne resta è ancora
attrattivo) chiede proprio di approfondire le nostre comunità e quotidianità,
di vivere esperienze vere (storyliving) a pieno contatto coi luoghi di
aggregazione, coi residenti, coi mercati di prodotto locale, a Genova con le
botteghe storiche, con le sciamadde che friggono i nostri celeberrimi street
food, con le funicolari che risalgono le colline, coi repertori dei nostri
cantautori, coi vini della "nostra" DOC Val Polcevera (mi arresto, ma
sinceramente potrei proseguire per ore)…
BioVoci
attende di potersi confrontare proficuamente su questi temi (city marketing,
alta formazione, food culture…) e sull’avvenire della “Superba”,
auspicando sinergie col Comune, la Regione, l’Università, il mondo
culturale, le associazioni di categoria, i diversi players che operano sul
territorio.
Chi c’è
batta un colpo, col realismo che può indirizzare l’azione, ma anche con quella
passione per la Liguria che può schiudere nuovi scenari. È tempo di un nuovo
Umanesimo, di innovare le partnership. Chi vuol già salire a bordo per
costruire dibattito? Questa è una chiamata all'azione.
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