Long live EVOO (extra virgin olive oil)!
Come potrebbe un ligure avere un rapporto difficile con l’olio
extravergine? Per me, poi, che ho sovente collaborato col Consorzio di tutela
olio extravergine DOP Riviera Ligure, questo tema riesce particolarmente
centrale.
La parola olio ci giunge – non a caso - dal greco elaion, e
l’archeologia ha rivelato che in Liguria si lavorò in modo primitivo all’olea
sin dal 3mila a.C. Al Varignano, presso La Spezia, sono stati ritrovati i
resti d’un frantoio di duemila anni fa, ne ho parlato a lungo nel volume la cui
copertina (2012) vedi nella foto, è un luogo talmente suggestivo che verrebbe
quasi la tentazione di rimetter quegli impianti in funzione. In Liguria d’olivi
si occuparono monaci già durante l’alto medioevo, e con successo (forse la
“taggiasca”, non autoctona, si deve a innesti benedettini, o cappuccini, sulla
cultivar colombaia), nei cenobi - fra botanici e speziali - l'agricoltura
scampò alle devastazioni barbariche. Oggi sul territorio sono 42 le cultivar
censite (sebbene alcune non vengano più lavorate), le trovi tutte, dall'arnasca
alla toso, a questo link http://www.ligucibario.com/alfabeto_del_gusto/.
Peraltro, benché genovese, non mi sono scandalizzato quando
il cuoco Davide Oldani ha proposto il pesto col burro: l’olio rimase a lungo
un’esclusiva dei ceti agiati, e in cucina il contado non di rado fece ricorso a
strutto, olio di noci, talora burro...
In un tacuinum sanitatis del XV secolo si legge
“il migliore è quello chiaro e un po’ citrino. Giovamento: ammorbidisce e
guarisce le ferite. Nocumento: dà allo stomaco vomito e nausea. Rimozione del
nocumento: con sostanze acetose e lunga decozione nel brodo”. Due secoli dopo,
ecco il boom (olio come condimento ma anche come conservante), grazie anzitutto
alla pressa idraulica. In Italia una quarantina di DOP oggi “rivaleggiano” nel
conquistare i mercati a colpi di qualità, l’olio si distingue in laboratorio
soprattutto in base ad acidità (l’extravergine è ˂0,8%) e a numero di
perossidi, ma il palato conferma un ruolo di arbitro in termini di dolcezza o
amarezza, fruttato e pungenza.
In Liguria, si sa, il paesaggio è quello verticaleggiante,
difficile da raggiungere, delle fasce terrazzate dai muretti a secco (che
trattenendo il calore del sole giovano anche alle erbette del preböggiön).
Questo paesaggio svela sapienze millenarie, regalandoci uno
dei capisaldi – un nutraceutico - della dieta mediterranea (con vino
e pane non compone infatti una triade memorabile?), ma ancora una volta la
salvaguardia è lo strumento prioritario della valorizzazione, dato che l’olio
“giusto” è oggetto di costanti aggressioni e contraffazioni.
Diceva il detto “vin vecchio, olio nuovo”, oggi un virtuoso
pretesto per girovagare fra uliveti, frantoi (gunbi), sagre, musei, il turismo
esperienziale sarà anche turismo dell’olio.
Il miglior olio ligure ha aspetto brillante e color giallo
paglierino. E’ di sapore tenue, con sentore – caso per caso - di fiori
selvatici, pinolo e noce, carciofo, rosmarino, mela…, talora moderatamente
piccante. E’ un prodotto fresco, vivo, delicato. Se ne producono modiche
quantità, anche perché la pianta – oltre alla famigerata mosca Bactrocera -
teme le gelate e la siccità.
Le olive venivano colte entro gli inizi dell’anno
direttamente dalla pianta, e lavorate in modo artigianale presso frantoi che
utilizzavano mole di granito, dopodiché la pasta spremuta finiva sotto ai fiscoli.
Oggi, pur confermando brucature pressoché manuali, l’investimento
tecnologico consente metodi produttivi più igienici che preservano il mosto
delle drupe dagli agenti esterni.
In genere l’olio estratto rappresenta appena il 20% del peso
delle olive frantumate, mentre la sansa (il residuato solido, buccia polpa
nocciolo) rappresenta il 40%. Ad un anno d’alberi "carichi" può, come
noto, far seguito uno d’alberi scarichi (in Italia, fra l’altro, un olivo dà
circa 8 chili di olive, in Algeria ben 18), ciò fa comprendere quanto questa
economia imponga sacrifici e sia vulnerabile alle minacce climatiche.
La varietà oliva taggiasca è la più diffusa in
Liguria, ma ti segnalo Amico lettore anche la sorella lavagnina, tipica
del Tigullio, che ispirò l’abate Giovanni Maria Piccone per i suoi “Saggi
sull’economia olearia” stampati, in Genova, nel 1808, e l’arnasca (a
Ponente pignola), cui è “dedicato” un museo della Civiltà contadina ad Arnasco
(SV). L’estremo Levante, infine, è terra di razzola e in misura minore
di castelnovina…
A questo link https://www.youtube.com/watch?v=5zhJBaIEwvk trovi
un breve video sulle peculiarità olivicole delle due riviere liguri.
BioVoci ovviamente sensibilizza circa l’uso esclusivo di
olio extravergine (con la sola eccezione delle grandi fritture, dove si può
ricorrere ad un monoseme * con alto punto di fumo), extravergine che a
differenza dell’olio di oliva - che denuncia caratteristiche peggiori, acidità,
odori, opacità, mucillagini... - non subisce rettifiche di raffinazione chimica.
* aldilà dell'aspetto economico, alcuni extravergine in
frittura conferiscono una nota un poco amara
Umberto Curti, BioVoci
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