Biodiversità, parchi, borghi: un'intervista
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D. Caro Daniele (mi permetto di confermare il “tu” anche
online, vista la cordialità che da tempo caratterizza il nostro rapporto), i
luoghi in cui vivi e in cui ricopri cariche istituzionali sono “pagine” aperte
e quotidiane di biodiversità. “Wildlife stays, wildlife pays”, si suol dire da
parte di alcuni (ed io fra costoro). Cosa pensi di questo detto?
R. Credo che oggi più che mai sia vero. Dopo l’epidemia
Covid-19 ritengo che tutti abbiano capito quanto importante sia l'ambiente e
quanto sia importante sentirsi parte di esso (e non sopra). Da questa
riscoperta, sono convinto che si possa fare anche economia in maniera
redditizia. Faccio un esempio concreto "banale": nella Central Valley
in California hanno capito che i mandorleti vicini ad una parte incolta erano
maggiormente frequentati da api selvatiche e quindi, con una maggior
impollinazione, più produttivi dei terreni a monocultura. Certe rinunce al
dogma della produttività in certi casi non sono propriamente rinunce.
D. Viviamo stagioni complesse, reduci come siamo anche da
una pandemia che esplose quanto mai inattesa, e impattò (impatta) anche sulle
nostre quotidianità socioeconomiche, lavorative, affettive…. Dal tuo duplice
punto di osservazione, cosa auspichi come eredità di quest’esperienza?
R. Auspico un rapporto egualitario fra genere umano e
ambiente. Se la specie umana si sentirà una specie fra le specie, immersa in un
ambiente che consente a tutti di vivere e procreare, e non una specie sovrana,
allora avremo imparato la lezione fondamentale di questi anni di covid.
Purtroppo, il tempo non ci ha dato finora buoni segnali in questo senso.
D. Non leggere in questa domanda un contenuto tendenzioso
che non ha (l’avesse, lo espliciterei in modo diretto): a che serve oggi un
Ente Parco?
R. Un Ente Parco, innanzitutto, deve ottemperare alla sua
missione: conservare l'ambiente. Questa è la missione con cui sono nati i
Parchi. Se l'obiettivo rimane quello da 150 anni, i mezzi per conseguirlo
cambiano. Abbiamo capito che nei luoghi dove l'interazione fra uomo
e ambiente è paritaria, lo sviluppo economico mantiene e crea biodiversità. Un
pascolo ben gestito, una coltivazione di qualità non intensiva, oltre a fare
reddito contribuiscono ad accrescere i valori ambientali di quel luogo.
Inoltre, proprio per questa ragione, i Parchi devono essere considerati dei
laboratori dove sperimentare queste interazioni favorevoli fra uomo e ambiente,
dove studiare i servizi ecosistemici per poi esportarli in altri territori. I
Parchi oggi dovrebbero essere considerati delle avanguardie, ma non sempre è
così.
D. A maggio ricorrono la giornata del miele, quella delle
api, quella della diversità culturale… Se tu dovessi raccontare ad un ospite il
genius loci di Sassello, borgo di cui sei stato Sindaco, da dove cominceresti?
Quali tracce condivideresti per prime?
R. Sassello è un luogo dove l'interazione uomo e ambiente,
natura e cultura, è sempre stata virtuosa. E' la dimostrazione di come si possa
fare economia con l'ambiente e non sfruttandolo. In cento chilometri quadrati
abbiamo una varietà di ambienti e di prodotti alimentari incredibile. Noi la
nostra transizione ecologica l'abbiamo già fatta da molto tempo.
D. Fra le molte cose che per lavoro via via incontro, mi ha
colpito qualche anno fa la teoria della retroinnovazione, della sociologa
olandese Marian Stuiver, secondo cui la salvaguardia non osta al cambiamento, e
la tradizione deve procedere “innovativamente”, armonizzando i valori del
passato e i trend contemporanei, per orientare non traumaticamente lo sviluppo
futuro, piantando semi di conoscenza… Vorrei conoscere il tuo pensiero in
proposito
R. La teoria della retroinnovazione è quel che Sassello è
stato fino ad oggi. Un luogo che non ha mai rinnegato le proprie radici ma che
ha sempre saputo reinventarsi ed evolversi. Spesso dico che Sassello è un
esempio di rigenerazione industriale ante litteram. Nel '600 a Sassello
lavoravano sette ferriere. Quando, a metà del 1800, Cavour abolì i dazi sul
ferro proveniente dalla Gran Bretagna questa economia morì. Nel 1860 da una
ricetta casalinga di Gertrude Dania nacque l'amaretto morbido di Sassello e di
lì si sviluppò una prima fabbrica. Oggi sono varie aziende e un
numero di lavoratori che si avvicina ai 200 per un paese di 1.770 abitanti.
D. Come sai (ne parlammo davanti a un caffè), adoro leggere
Paolo Cognetti, Annibale Salsa, Paolo Rumiz… Tu stesso parli di sostenibilità
come di best practice quotidiana… Un altro mondo è possibile? Su quali valori,
nella tua visione, anche le giovani generazioni dovranno prioritariamente
impegnarsi?
R. Un altro mondo, un altro modo di concepire lo sviluppo,
deve essere possibile perché le risorse del pianeta non sono infinite.
Tuttavia, ogni volta che si pone il problema spostiamo un po' più in là il
termine per fare azioni concrete che vadano nella giusta direzione. Abbiamo
problemi per l'approvvigionamento di gas? La transizione non può essere il
carbone. La peste suina africana ci dice che un certo modello di sviluppo che
segua solo il mercato e la quantità non è più possibile? Non possiamo sterminare
tutti i piccoli allevamenti di qualità per mantenere la suinicoltura
industriale che magari importa anche da Paesi dove i controlli sanitari non
sono così rigorosi... Forse quello che dobbiamo insegnare alle nuove
generazioni è il valore del sacrificio che sta sicuramente dietro la
retroinnovazione. Perché per mantenere la tradizione, innovandola, bisogna fare
dei sacrifici.
Intervista a cura di Luisa Puppo, BioVoci
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