Turismo verde, istruzioni per l'uso. Parte 2

 


I numeri parlano, e ci dovrebbero maggiormente indurre a riflettere. 

Nel 2015, oltre la metà della popolazione dei 28 Stati appartenenti all’Unione Europea ancora risiedeva in zone rurali, che rappresentano circa il 90% del territorio dell’Unione medesima. Gli ultimi 100 anni, tuttavia, hanno cancellato nel mondo il 75% dell’agro–biodiversità cui l’umanità era giunta domesticando le piante e gli animali nei 15 millenni precedenti (di fatto, dall'esordio dell'attività agricola). Con tale, spaventoso ritmo, a metà del XXII secolo non resterebbero che macerie. Si badi inoltre che, nel mondo, circa un terzo di tutto il cibo prodotto finisce, perfettamente edibile, nella spazzatura.

Forse non soccorre più di tanto l’analisi “storica” là dove verosimilmente, considerate le accelerazioni tecnologiche e i mutamenti di mercato del tempo presente, poco oramai può insegnare in termini di promozione e management turistico. Ciononostante, occorre precisare che il turismo verde come “onda ideologica” è giunto in Italia negli anni ’80 (con un balzo +209%, da 55mila a 115mila posti letto agrituristici), ma timidamente rispetto a Germania, USA, Svezia… dove la propensione ambientalistica era già dote più comune. A puro titolo d’esempio, le gîtes diffuse in primis nella Francia mediridonale, modello a gestione pubblica o privata che ha oltre sessant’anni di vita (si tratta di strutture ricettive professionali in villaggi lungo percorsi ad alto tasso di naturalità), da tempo propongono cataloghi ecofriendly specificamente arricchiti da vacanze sulla neve, ippoturismo, farm holidays, servizi a misura di famiglie con bambini…

Secondo la nota e non ancora archiviabile definizione delle Nazioni Unite (1993), sviluppo sostenibile significa “condurre l’attività in modo da conciliare oggi i bisogni dell’azienda con quelli degli stakeholder, proteggendo, sostenendo e aumentando la disponibilità di risorse naturali per il domani”.

Un ambiente pulito, oltre a soddisfare le esigenze della collettività in generale, ha effetti positivi anche sull’attività produttiva, garantendo sia la salute dei lavoratori sia il buon funzionamento di impianti e macchinari. L’impossibilità, dal punto di vista istituzionale, di dare una valutazione economica dell’ambiente sotto forma di un prezzo effettivo rende i benefici ambientali difficilmente quantificabili e misurabili. I metodi di misurazione dei benefici che la teoria propone sono di due tipi: diretti e indiretti. Se i primi si concretizzano in indagini ad hoc sulla disponibilità a pagare, quelli indiretti si fondano su metodi come lo studio delle risposte ideologiche alle problematiche ambientali o del tasso di partecipazione ad attività di natura ambientale.

Umberto Curti, BioVoci

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