Conversazione con Annibale Salsa

 


Care Lettrici e Lettori di BioVoci, ho il piacere di introdurre il Professor Annibale Salsa con le parole che gli ha dedicato Umberto Curti in Sostenibilità e Biodiversità, un glossario (Ed. Sabatelli, Savona, 2023):

“antropologo savonese, esperto di socioeconomie montane, past president del CAI – Club Alpino Italiano - , ha fra l’altro insegnato all’Università di Genova. Presidente del Comitato scientifico e docente presso la Trentino School of Management della Provincia autonoma di Trento, ha scritto volumi memorabili, tra cui il recente Un’estate in alpeggio, legato alla transumanza ed ai suoi riti in qualche modo ancestrali, fra spazi, storie, sapori, mungiture, temporali…, tre mesi dal 21 giugno fino a San Michele. Un volume, in un Piemonte vicino alla Liguria, di taglio anche autobiografico, nel quale si auspicano equilibri fra natura e cultura ben diversi dall’attuale, un up-down che sta giocoforza causando – tra spaesamento e disagio - il tramonto delle identità tradizionali”.

Da tempo seguiamo la sua attività di divulgazione scientifica. Il suo nome ricorre frequentemente nelle nostre docenze (specie da parte di Umberto Curti nell’ambito dei corsi di qualifica GAE – Guida Ambientale Escursionistica) dedicate al tema dei paesaggi appenninici e alpini, dell’interazione uomo-spazio montano, della tutela e valorizzazione delle identità tradizionali.

LUISA PUPPO: Professor Salsa, da vari decenni molta montagna si è spopolata. Anche in Liguria, penso ad esempio alle tante borgate abbandonate di Montoggio (GE)... Non possiamo tuttavia far tornare le persone nei luoghi dai quali i nonni erano fuggiti, né d’altro canto “museificare” la montagna e renderla cartolina. Dal Suo punto di osservazione, quali sono i servizi e le opportunità per immaginarsi una restanza o una “ritornanza” (mi si passi il non riuscito neologismo) da parte di giovani che vogliano lavorare e/o mettere su famiglia in queste aree?

ANNIBALE SALSA: Sono quattro gli elementi fondanti, in assenza dei quali si fa solo una sterile “metafisica della montagna”: scuola, sanità, trasporto pubblico, digital divide.

Conditio sine qua non per favorire la presenza di famiglie è la presenza di scuola primaria e secondaria inferiore.
Circa la sanità, occorrono ospedali e presiidi di vallata, supportati dalle possibilità delle nuove tecnologie. Un ritorno all’antico, per cui ha optato - ad esempio - la provincia di Trento nel 2022.
Per il trasporto pubblico, il modello virtuoso per eccellenza è quello dell’intermodalità svizzera, un sistema integrato che raggiunge anche le vallate più remote attraverso i cosiddetti “taxi alpini”. Il tema della sostenibilità economica è ovviamente centrale, ma non dobbiamo cadere nel loop “non eroghiamo il servizio perché non c’è domanda”, semmai il contrario: non c’è domanda perché non c’è servizio. Mettendo a confronto la situazione tra provincia di Trento e provincia di Bolzano, nel primo caso, là dove la rete del trasporto pubblico non è capillare, il gap del servizio è colmato dall’uso delle auto private; nel secondo caso, invece, migliori standard di servizio (collegamenti ogni 30-60 minuti in media…) motivano il successo del trasporto pubblico.
Il divario digitale, infine, penalizza trasversalmente la vita quotidiana e lavorativa delle aree montane, la banda larga non garantisce ancora copertura ed affidabilità.

Esistono poi anche altri fattori condizionanti. Il primo è di carattere politico-amministrativo. Il sistema di rappresentanza della montagna italiana è legato al numero di abitanti, non all’estensione geografica effettiva. Paradossalmente, un condominio milanese “rappresenta” più elettori di una valle alpina.

Il secondo è di carattere fondiario, mi riferisco al frazionamento delle proprietà. Torniamo al confronto tra Alto Adige e Trentino. In Alto Adige prevale la proprietà privata indivisibile, inalienabile, inusucapibile (Istituto del maso chiuso ereditario), non c’è frazionamento fondiario, mentre in Trentino la proprietà collettiva (con gli stessi caratteri della indivisibilità, inalienabilità, inusucapibilità) è limitata ai boschi e pascoli in quota.

Il fenomeno del frazionamento caratterizza ad esempio le aree interne della Liguria, con appezzamenti di piccole se non piccolissime dimensioni -ad es. le “campagne” dell’Imperiese dove operano gli olivicoltori - .

Come rilanciare l’agricoltura di montagna in queste condizioni? Occorre affermare un modello qualitativo e non quantitativo, che tenga anche in conto l’impatto del cambiamento climatico. L’olivo sfida i 900 metri di Baiardo, dove (finora…) la mosca olearia non arriva.

Circa il ripopolamento, segnalo ancora un’esperienza positiva, quella del comune di Ostana (Cuneo), ai piedi del Monviso. Dopo lo spopolamento e l’esodo degli anni ’50 verso le città industriali, dagli anni ’80 è iniziato un percorso di rigenerazione e recupero nel segno della tradizione (dal restauro di edifici alla creazione di imprese e attività ricettive), che ha poggiato anche su accorpamenti fondiari. Il sindaco ha reagito e si è mosso con efficacia (supportato da consulenti) in direzione dei fondi europei, ovviando ai limiti della contribuzione regionale. La popolazione (una novantina di abitanti) è cresciuta di diciotto volte (!) rispetto a quarant’anni fa, il senso di comunità è forte.

LUISA PUPPO: Paesaggio, città e industrie… la percezione dei fenomeni sta cambiando? Mi viene in mente Italo Calvino e il suo La speculazione edilizia, scritto più di sessanta anni fa (1957 prima edizione originale).

ANNIBALE SALSA: Sì, soprattutto rispetto agli anni ’60 e ’70, l’epoca della colonizzazione urbana della montagna – e non solo, appunto - . In Liguria, ricordo la Riviera di Ponente come un susseguirsi di orti, ville, giardini. Ora da Pietra Ligure a Borgetto Santo Spirito attraversiamo un continuum edilizio senza soluzione di continuità. E’ stata una perdita di identità culturale. Un “modello” in toto da ripensare.

Circa il paesaggio, il riferimento concreto è la Convenzione Europea del Paesaggio (2000). Il paesaggio culturale è una costruzione. Il paesaggio fa riferimento all’uomo, è il “precipitato” della relazione tra uomo e natura. È limitante legare il concetto di paesaggio agli ambienti naturali. Antropizzazione e cultura hanno un ruolo centrale, si pensi (anche) alle nostre Alpi.

LUISA PUPPO: Governance e aree montane, quali prospettive?

ANNIBALE SALSA: Il passato insegna. Le comunaglie (le aree di uso comune utilizzate per il pascolo e il legname), l’esperienza delle carte collettive… La “Magnifica Comunità degli Otto Luoghi” per circa un secolo (1686 - 1797) fu una comunità indipendente – dal punto di vista economico, non politico - all’interno del Capitanato di Ventimiglia (e quindi connessa alla Repubblica di Genova). Bordighera, Borghetto San Nicolò, Sasso, Vallebona, Camporosso, Vallecrosia, San Biagio, Soldano godevano di autonomia economica. Disciplinarono anche la comunaglia di Montenero (bene pubblico di cui veniva venduto il legname) e diedero vita a un regolamento campestre degli Otto Luoghi.

Il presente, purtroppo, ha segno diverso, mi riferisco ad esempio alla cosiddetta mafia dei pascoli, un sistema di frodi ai danni dei fondi europei per l’agricoltura, attiva lungo l’arco alpino ed appenninico. A titolo di esempio, vengono dichiarati più capi di bestiame dell’esistente per ottenere maggiori sovvenzioni, e alla bisogna, in occasione di controlli, vengono addirittura trasferite in loco delle manze in asciutto…

LUISA PUPPO: e la governance del patrimonio boschivo? La provincia di Savona resta la più boschiva di Italia, ma nel 2021 un ex funzionario della Camera di Commercio (Sergio Ravera) fornì questi dati: negli anni ’60 i boschi coprivano circa il 64% della superficie provinciale, nel 2021 circa il 50%...

ANNIBALE SALSA. Sì, all’interno della provincia di Savona le aree più vocate sono proprio Calizzano e Mallare, vicino a dove Curti e lei risiedete in estate. L’avanzata eccessiva della boschiva (inselvatichimento) nei terreni incolti avanza dell’8%. Dobbiamo distinguere il bosco, che è un prodotto culturale, dalla selva (wilderness). Sta alla governance stabilire dove e come intervenire, distinguendo con chiarezza tra taglio selettivo e taglio speculativo. Ripensiamo alla tempesta Vaia, che nel 2018 ha arrecato devastazioni in Italia e in Europa. I danni maggiori si sono verificati in aree con impianti boschivi artificiali, coetanei e monospecifici – un caso su tutti, la Val di Fiemme, l’ho sorvolata in elicottero, non dimenticherò mai quello che ho visto - …

LUISA PUPPO: Professor Salsa, siamo alla vigilia del 21 giugno - non posso non chiederle un focus sulla transumanza.

ANNIBALE SALSA: 21 giugno, solstizio d’estate, quindi il momento del passaggio dal tempo ordinario dell’inverno al tempo straordinario dell’estate. Le mucche salgono all’alpeggio, dove resteranno a lungo per poi tornare a valle in autunno. Da bambino passavo i mesi estivi nella montagna tra Piemonte e Liguria. Si saliva all’alpeggio a Conca del Prel, tra la val Corsaglia e la Val Maudagna. Il racconto di quelle estati “vissute” nelle attività e nei riti della transumanza è il fulcro di Un’estate in alpeggio.
Nonostante l’impatto della colonizzazione urbana sul mondo della montagna, ci sono segnali positivi.
Ad esempio, è finalmente nata in Italia la Scuola Nazionale di Pastorizia, sull’esempio di Francia, Svizzera, Germania (Bassa Sassonia).

Ho poi seguito la Scuola per pastori di Salon de Provence , un centro didattico sperimentale che focalizza la transumanza. Il Conseil général riconosce uno stipendio ai pastori, formati e dotati di supporti tecnologici per lo svolgimento della propria attività. A Rambouillet, in Normandia, alla scuola per pastori sono protagonisti gli agnelli prés-salés, che pascolano nei prati ricoperti quotidianamente dalle maree.

LUISA PUPPO: Professore, quali sono le differenze tra pastorizia ed allevamento bovino?

ANNIBALE SALSA: sono due cose diverse. Nel caso dell’allevamento bovino la transumanza è verticale, verso il maggese e poi l’alpeggio. In Val d’Aosta le tappe intermedie possono essere cinque, altrimenti di norma sono due (o una). Si tratta di una distinzione antropologica. L’allevatore è un agricoltore, è stabile, mentre il pastore è nomade, si muove tutto l’anno alla ricerca di erba, dalle montagne (estate) verso le coste marine (in inverno): pensiamo all’area brigasca a cavallo delle Alpi Marittime tra Liguria, Piemonte e Francia, una pastorizia nomade, pascoli “vaganti” verso i promontori sul mare. Attraverso le stagioni, i pastori aiutavano i contadini – dalla raccolta delle olive allo spietramento per la manutenzione dei muretti a secco… - . Non a caso nell’areale da Antibes a Capo Noli, soprattutto nell’area di Ospedaletti, sono ancora frequenti i cognomi di origine brigasca (da Carnino a Upega). La presenza dei pastori era testimoniata anche dalla presenza, in passato, di latterie a Savona. 
Prima il cacciatore-raccoglitore poi il pastore, attività più arcaica rispetto all’agricoltore (10.000 anni prima).
A causa della sua natura nomade, però, la pastorizia fu a lungo un’attività vista con sospetto…

I luoghi della pastorizia oggi? Da Albenga al Marguareis, dalla catena del Lagorai alla pianura veneta e alla laguna di Grado, e poi Abruzzo e Puglia…, e la Sardegna!, che rappresenta un unicum: qui, nella gerarchia sociale, il pastore è sopra l’agricoltore.
Oggi assistiamo a un ritorno di interesse da parte dei giovani, formati e attrezzati anche tecnologicamente, che intravvedono nella pastorizia un’opportunità di reddito.
La Scuola Nazionale di Pastorizia risponde dunque a una domanda. La filiera del formaggio ovino e caprino genera reddito, in Camargue le greggi possono contare fino a seimila capi.
Contestualmente, crescono purtroppo le criticità legate ai grandi predatori. Servono azioni efficaci di governance svincolate dalle ideologie e basate sull’analisi della carrying capacity delle singole aree, i territori sono diversi. Con lupo in un senso e con l’orso dall’altro non si scherzi.

LUISA PUPPO: wildlife stays, wildlife pays, dicono gli americani. Con tutto il rispetto per il comparto dell’artigianato artistico e della moda, sia per me, sia per Umberto Curti il Made in Italy è in primis la biodiversità. Una biodiversità naturale, culturale, antropica, linguistica, etnogastronomica… Come possiamo procedere a una tutela valorizzante della biodiversità che crei posti di lavoro, che induca ripensamenti, che crei “buonessere”?

ANNIBALE SALSA: promuovendo la diversificazione produttiva, specialmente nelle terre alte, attraverso modelli agricoli non intensivi, tipici purtroppo dell’agroindustria -pensiamo alla Pianura Padana e all’omologazione della produzione, alle sterminate distese di mais - …

Già gli Statuti della Repubblica di Genova sottolineavano la necessità della policoltura nella stessa fascia terrazzata. Occorre votarsi a un’agricoltura estensiva e non intensiva. I coltivatori biologici non tagliano più l’erba tra i filari delle vigne. La biodiversità è l’unico modo per salvare l’agricoltura.

Un buon segnale è l’entrata in vigore della legge sull’agricoltura contadina (L. n. 30/2022 per la valorizzazione delle piccole produzioni agroalimentari di origine locale, entrata in vigore il 23 04 2022), che ribadisce la differenza antropologica tra le due figure: l’agricoltore è un imprenditore che adotta modelli standard, il contadino adotta modelli artigianali. Una legge dall’impatto significativo per i piccoli territori (pensiamo di nuovo alla Liguria), che restituisce qualità ai valori alimentari e paesaggistici – la varietà delle colture, non a caso, rende i paesaggi molto più attraenti - . Il paesaggio è uno spazio di vita, non un panorama da ammirare in certi periodi dell’anno.

LUISA PUPPO: mi viene in mente Sale San Giovanni (CN), un caso-studio che spesso Umberto Curti propone ai suoi allievi. Ora è nota come il paese della lavanda e delle erbe aromatiche, e si è votata al biodinamico.

ANNIBALE SALSA: le “Langhe povere” hanno vissuto stagioni di spopolamento e abbandono, poi è avvenuto un cambio di rotta, che include anche i noccioleti e i boschi termofili (soprattutto quercia e roverella). Inoltre, il recupero degli edifici tradizionali (i ciabòt) con l’uso dell’arenaria (marna di Langa) … È un cambio di paradigma percettivo.

LUISA PUPPO: Professore, Appennino significa cultura del castagno, l’antico “albero del pane” che ha sfamato generazioni prima dell’avvento delle patate. Del castagno non si buttava via nulla, persino le bucce delle castagne, dalle quali si ricavava il tannino.

ANNIBALE SALSA: ho vissuto di persona il cancro della corteccia del castagno in un bosco di mia proprietà in Val Bormida, l’abbandono delle coltivazioni, il sopravvento del castagno selvatico. Ora la cultura e la coltura del castagno vedono una ripresa, anche nelle Prealpi, o in val Camonica, ad Edolo…, e non a caso i seccatoi utilizzati per essiccare le castagne hanno nomi differenti a seconda dei luoghi (tecci, scau, seccherecci, canissi…), marcano il territorio con la loro architettura, talora vengono restaurati e finanche destinati a scopo ricettivo). I prodotti della castagna e del castagno – miele, farina, birra artigianale... – sono apprezzati e quotati.

LUISA PUPPO: ha toccato il tema agricoltura e turismo

SALSA: con l’eccezione dell’Alto Adige (e in parte del Trentino) non si è mai colta la corrispondenza biunivoca tra agricoltura e turismo. Nel modello del maso non c’è separazione, agli ospiti vengono proposti i prodotti, i ritmi, si attiva un ciclo virtuoso. Altrove (anche da noi) c’è invece una sorta di schizofrenia, come detto, e si perdono i prodotti.


LUISA PUPPO: Professore, grazie di questo tempo prezioso e di questa conversazione ricca di spunti, buone prassi e “cibo per la mente”. E grazie soprattutto per il suo pathos militante!
La aspettiamo gradito ospite a Calizzano, tra faggete e tecci!

 

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