Conversazione con Umberto Curti, storico dell’alimentazione


Conversazione con Umberto Curti, storico dell’alimentazione

 

D. Caro Umberto, andiamo subito al dunque, da dove nasce la tua passione per la cultura enogastronomica? Amore “a primo sapore” o altro?

In verità, nasce da un grande lutto famigliare, persi mia madre a 18 anni e da quel momento mio padre – consultando una guida de “L’espresso” regalatagli da alcuni amici medici – mi condusse ogni domenica a pranzar fuori. Quanta compagnia ci tenemmo! In parallelo, io iniziai a leggere "Gino" Veronelli, Mario Soldati, Paolo Monelli, e Carnacina e Buonassisi… Per me fu davvero la scoperta di un mondo, e a metà degli anni ’80 del Novecento “incrociai” anche Giovanni Rebora all’Università. Credo che, come anche tu la chiami, la cultura enogastronomica sia uno degli àmbiti geostorici più stimolanti e interdisciplinari che esista. E, all’inizio del nuovo Millennio, potei “trasferire” quella passione in parte anche dentro il lavoro, anzitutto creando il portale Ligucibario®, poi tenendo gustincontri, e pubblicando saggistica. M’ispiro alla cosiddetta etno-gastronomia, quella di Piero Camporesi, Massimo Montanari, Enrico Calzolari… E mia moglie, bisogna aggiungerlo altrimenti si arrabbia, è figlia di un vero gourmet (mancato anch’egli troppo presto).

D. Sei da decenni, con Luisa, un paladino verace della biodiversità. Cosa puoi dirci su questo tema?

Un paladino che nel tempo è andato radicalizzandosi, tanto più da quando con Luisa trascorro lunghi periodi nei boschi di Calizzano, Garessio, Viola, chiamalo pure forest bathing, o shinrin-yoku... La nostra epoca sconta un antropocene iniquo e devastante ed ora è chiamata a reagire, nessuno può più dirsi escluso, ed alludo anzitutto alle giovani generazioni, che purtroppo vedo sempre più chine su smartphone che le rincitrulliscono, le isolano, le vorrebbero trasformare in meri consumatori (di tecnologia, di abbigliamento, di superfluo). Presumo – non ho figli – che il ruolo genitoriale sia sempre stato difficilissimo, ma anche presumo che oggi lo sia come mai accaduto prima… Cerchiamo – ma il tempo stringe – di recuperare per loro e per noi un rapporto costante e paritario con la natura, riscopriamo i borghi (senza musealizzarli come cartoline), leggiamo chi ne ha scritto, chi si batte affinché non si spopolino (in tal senso BioVoci contiene già interviste splendide), rivalutiamo gli antichi mestieri. La biodiversità, nella mia visione, è anche culturale, linguistica, culinaria… Spero che i "BioVociani" saliti a bordo di questo progetto siano intraprendenti, e mi diano una mano.

D. Viviamo in un mondo dove le multinazionali del commercio depauperano le ricchezze locali modificando i ritmi delle filiere corte. Come pensi si possa intervenire in questo senso?

R. Domanda complessa, ma sintetizzerei la mia risposta con “tagliando loro i rifornimenti”. Tu alludi giustamente ai “ritmi delle filiere corte”, ecco, iniziamo a verificare la stagionalità e la provenienza dei prodotti, leggiamo le etichette, teniamoci informati, separiamo chi bara e inquina da chi viceversa opera in modo corretto e propone autenticità. I gruppi oligopolisti beneficiano sovente dell’ignoranza (intesa in senso etimologico) del consumatore, che riempie il carrello distrattamente e di corsa. Io sovente lavoro sulla triade cereali-vite-ulivo, proprio per mettere in guardia anche contro certe agromafie e contraffattori che ormai delinquono, purtroppo, anche sui cibi quotidiani, sull’abc dei nostri consueti menu… Far la spesa non è mai stato quanto ora un atto politico, a tutela del pianeta, delle comunità, delle microeconomie sane. Se non vigiliamo, vedremo privatizzate le sementi a livello mondiale, e vedremo via via modificarsi geneticamente tutti i nostri alimenti…

D. Biodiversità fa rima con cura ambientale. In che modo si legano tra loro?

R. Direi che sono sinonimici. Forse che noi per primi non siamo biodiversità? Forse che noi per primi non campiamo sempre peggio, imprigionati come siamo dentro metropoli inquinate, rumorose, stressanti, dove non v’è quasi più traccia di natura, dove tutto è talmente degradato che anche la carta del nostro chewing gum finisce per terra? Non dimenticherò mai quando, durante la pandemia, sbalorditi constatavamo che le campane ancora suonano, che molta fauna vive non lontana da noi (ma da noi tende a tenersi ben alla larga…), che le giornate durano 24 ore, che il silenzio è un’eccellente forma di ascolto… In gioventù, quando con mio padre frequentavo l’Alto Adige, lessi all’imbocco di un sentiero che “la natura ha impiegato milioni di anni per regalarti questo. Tu puoi rovinarlo in un attimo”. Wildlife stays, wildlife pays, commenterebbero altrove… E al silenzio l’immenso Francesco Biamonti dedicò il suo ultimo romanzo, purtroppo restato incompiuto.

D. In ultimo, dai un voto a te e Luisa visti dietro i fornelli… Senza barare!

R. Questa, Giuseppe, è la domanda “peggiore”, in cauda tua venenum… Credo tuttavia che meritiamo un’ampia sufficienza, se vorrai esser nostro ospite a Calizzano potrai giudicare. Fra l’altro, malgrado la professione che svolgo, andare al ristorante è divenuta un’esperienza sempre meno festosa, hanno chiuso tante storiche trattorie lasciando un vuoto davvero arduo a colmarsi da parte di quei mille presunti “chef”, modaioli e/o cervellotici, di cui temo non rimarrà traccia... Quanto a Luisa e a me, anche ai fornelli, come quando mangiamo fuori, amiamo la creatività ma non la stravaganza, i sapori puliti, e cuciniamo a filiera breve, impiegando il più possibile le cultivar e i pesci locali… La nostra tavola propone buoni olii extravergine, farine semintegrali macinate a pietra, poca o zero chimica, e naturalmente – sempre – un calice abbinato bene alle pietanze. Siamo o non siamo mediterraneità? Il mio sogno, lascia che infine lo confessi, sarebbe sorseggiare un Pigato con Fernand Braudel e Predrag Matvejevic in una piazzetta di Cervo, o di Toirano, o di Camogli, o di Monterosso. Accadrà magari in un’altra vita, ed io che sono “amico dell’invisibile” (come scriveva Eugenio Montale) saprò attendere.

A cura di Giuseppe D’Amico, BioVoci

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