Conversazione con Salvatore Settis

 


Care Lettrici e Lettori di BioVoci, ho il piacere di introdurre il Professor Salvatore Settis con le parole che gli ha dedicato Umberto Curti in Sostenibilità e Biodiversità, un glossario (Ed. Sabatelli, Savona, 2023):

“Archeologo, e storico dell’arte, calabrese. Prolifico saggista, il suo Italia S.p.a. L'assalto al patrimonio culturale, volume sin dal titolo “militante”, nel 2003 ha vinto il premio Viareggio nella categoria di riferimento, ottenendo un numero impressionante di recensioni (favorevoli), che misero l’autore in contatto anche con molteplici comitati locali (ce ne sono 30 mila in Italia, e almeno 3 milioni di cittadini ne fanno parte), i quali meritoriamente si battono – caso per caso - contro la cementificazione scellerata di una salina o la modifica insensata di un palazzo storico… Un’Italia ancora sana, che si mobilita per l’interesse generale, che antepone il diritto alle leggi, e che si indigna di fronte alla “vendibilità” di ogni bene. Nel 2012 con Paesaggio costituzione cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile, altro saggio dai toni duri, Settis vince il prestigioso premio letterario Gambrinus "Giuseppe Mazzotti" per la sezione “Ecologia e paesaggio”.

Da tempo seguiamo la sua attività di ricerca e divulgazione scientifica attraverso le pagine dei suoi libri e le parole dei suoi articoli. Il suo nome ricorre frequentemente nelle nostre docenze e nell’attività di saggistica e pubblicistica di Umberto Curti, dedicate alle contraddizioni dell’antropocene - tra crisi economica e degrado ambientale – e alla battaglia per una tutela valorizzante dei patrimoni.

LUISA PUPPO: Professor Settis, tra Italia spa del 2003 e Paesaggio costituzione cemento del 2012 (ma anche arrivando ai giorni nostri), quale è stata l'evoluzione - o l'involuzione, nei suoi àmbiti di ricerca e di intervento?

SALVATORE SETTIS: premetto che da allora i miei interventi si sono diradati perché le cose da dire sono sempre le stesse, specialmente per quel che riguarda la battaglia contro la privatizzazione dei beni demaniali.

Da “Patrimonio spa”, la società pubblica che l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti lanciò nel 2002 per dismettere parte del patrimonio immobiliare pubblico sino al D.lgs. 28 maggio 2010, n. 85 sul federalismo demaniale il percorso è – tristemente - chiaro. A fronte delle difficoltà ormai croniche degli Enti territoriali, tale patrimonio pare un “salvadanaio di terracotta” da rompere per far cassa in maniera (forse) meno clamorosa. Ma forse non è così chiaro a tutti: col federalismo demaniale, siamo tutti borseggiati.

Un percorso, va sottolineato, con una caratteristica sistemica: l’accordo di fondo di tutta la politica a 360°. A prescindere dagli schieramenti, la tutela del paesaggio, dei beni culturali, dei centri storici è reputata obiettivo secondario. L’obiettivo principale (trasversalmente alle forze politiche, come detto) è favorire l’economia e la circolazione dei beni, diktat tacitamente condiviso in tutto il cosiddetto mondo occidentale.

La situazione, quindi, non è migliorata, anzi, non fa che aggravarsi anche a causa dell’accelerarsi della crisi climatica.

La ricerca di soluzioni al problema della crisi energetica vede infatti al centro la contrapposizione cannibalica tra paesaggio e ambiente. Una contrapposizione pretestuosa, dove il paesaggio (inteso nel suo valore storico, oltre che estetico) è perdente. Ecco dunque le selve di pale eoliche, c’è chi dice di una diversa bellezza…, devastare colline, uliveti, foreste. Le ricordo ancora durante le peregrinazioni nelle Marche con Tullio Pericoli, che mi ha accompagnato col suo sguardo di artista alla scoperta dei paesaggi di quella sua regione...

Focalizziamo le parole dell’ex ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani [C’è una quantità enorme di potenza energetica di impianti nuovi bloccata, perché ci sono le sovraintendenze che bloccano l’autorizzazione per una questione paesaggistica. Io capisco l’importanza del paesaggio, trovo stucchevole dire che il paesaggio va in Costituzione, siamo in emergenza. Bisogna capire qual è la priorità, NdR].

E anche in questo caso, voilà, l’accordo è bipartisan. Questo dualismo ambiente – paesaggio è andato acuendosi con l’inserimento (2002) della tutela ambientale nell’Articolo 9 della Costituzione. Per la prima volta venne modificato uno dei 12 principi chiave di quella carta che, dal 1948 – sempre all’articolo 9 - , tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. In questo modo è stata diluita la nozione di paesaggio, contrapposta all’ambiente. Insieme a Giuseppe Severini, Paolo Carpentieri, Tomaso Montanari abbiamo segnalato con forza questa pericolosa deriva, purtroppo senza esito…

LUISA PUPPO: in base alla Sua esperienza, come si può dare maggior voce e forza, ove lo meritino, ai tanti comitati locali che si battono per un'Italia più sana? Anche nella mia regione (che Lei opportunamente definisce la “martoriata Liguria”) c’è chi cerca di opporsi agli ecoreati, ai tentativi della politica di ridurre la superficie dei parchi… Paesaggio costituzione cemento si chiude con un’esortazione all’azione popolare, al pieno esercizio del diritto di cittadinanza, per imporre un'agenda politica centrata sul bene comune.

SALVATORE SETTIS: Azione popolare è anche il titolo di un mio volume del 2012. Nel corso degli anni questo discorso sembra essersi diluito, perché purtroppo il clima è cambiato - in peggio. A titolo di esempio, Italia Nostra ha fatto una battaglia per la tutela delle Alpi Apuane, una battaglia anche di successo che però non raggiunge le masse. È percepita come una iniziativa “di élite”, non ha ottenuto riscontro positivo presso l’opinione pubblica (arriverei in loco ad usare il termine di omertà) nonostante l’enorme mole di documentazione raccolta dalla Professoressa Franca Leverotti. In Italia esistono migliaia di associazioni locali (anni fa erano già alcune decine di migliaia). Combattono la stessa battaglia, si impegnano per gli stessi obiettivi, ma non si federano. Il loro sguardo è solo locale, una contraddizione per un mondo iperconnesso come il nostro, soprattutto se si pensa al potenziale delle tecnologie. Non si creano reti di pensiero. Sono attive le lobby dei poteri forti, ma non esiste il lobbying dei cittadini e delle loro associazioni. E nessuno dei partiti in Parlamento dà priorità a queste tematiche.

Nelle ultime elezioni europee si è visto qualche segnale positivo, una crescita della sinistra e dei Verdi…, ma le cose devono nascere dal basso e con ben altra dimensione e forza, bottom-up. Il mondo dell’associazionismo deve federarsi e “condurre un apostolato”. Circondati dai lupi, possiamo accendere fuochi, sparare in aria, o scegliere di non farlo…

Un contesto potenzialmente fertile è quello della scuola, dove ho incontrato molti insegnanti sensibili e attenti. Nel 2019 ho curato per Einaudi Scuola, con Tomaso Montanari, Arte. Una storia naturale e civile, manuale di cittadinanza consapevole con un focus forte anche sul paesaggio “vero” (non solo quello dei quadri…).

LUISA PUPPO: Brevissima premessa personale. La mia storia professionale ha “svoltato” nel 1994 con un master in management dei beni culturali “figlio” della legge Ronchey (1993) sui cosiddetti servizi aggiuntivi. Un inizio “fortuito”, una grande passione, impegno, lotte, rivincite, cambi di rotta, fino a quello che sono (e faccio) oggi. Una costante mi accompagna ancora: quando si tratta di beni culturali, si oscilla dalla demonizzazione del marketing alla disneyzzazione della cultura. Un Paese come l'Italia come potrebbe trovare una virtuosa "via di mezzo"? Se non a Lei, a chi chiederlo?

SALVATORE SETTIS: Esiste un equivoco di fondo. All’inizio del Novecento lo Stato comprò Galleria Borghese e la trasformò in una galleria d’arte pubblica. Non c’era ancora l’ossessione per il profitto. La componente di marketing e la buona gestione sono necessarie, però non si può affidare il management di un museo pubblico ai privati per far guadagnare i privati (che in quanto tali perseguono legittimamente il profitto).
A fronte di un proliferare di proposte formative, occorre selezionare i programmi più affidabili e completi, come i programmi di dottorato proposti dalla Scuola di Alti Studi di Lucca, che focalizzano mix di competenze atte a fornire know-how culturale, metodologico, strumentale.

Non dobbiamo “svendere” i musei pubblici, rappresentano secoli di accumulo di risorse, testimoniano la nostra identità culturale – e, soprattutto, sono nostri, nel senso che letteralmente appartengono a tutti i cittadini di tutta Italia.

La legge Ronchey sui servizi aggiuntivi ha sicuramente “lanciato il sasso nel pantano”, ma ad es. ha generato criticità circa la vendita delle foto delle collezioni dei musei come fonte di reddito. Sia i musei privati statunitensi, sia istituzioni europee come il British Museum e la National Gallery mettono a disposizione gratuitamente le foto, con un doppio ritorno in termini di pubblicità e promozione…

LUISA PUPPO: nel 2012 uscì Der Kultur Infarkt. Von Allem zu viel und überall das Gleiche [L’infarto della cultura. Troppo di tutto e uguale ovunque, NdR], poi pubblicato in Italia da Marsilio con il sottotitolo Azzerare i fondi pubblici per far rinascere la cultura. Secondo gli autori del volume, l'eccesso di offerta è un errore perché si fonda sul presupposto sbagliato che ogni prodotto possa generare da sé il proprio pubblico… È “accettabile” affermare che in Italia abbiamo troppo? Trasformiamo un punto di forza in una debolezza? 

SALVATORE SETTIS: Assolutamente no, non è accettabile. L’unicità del patrimonio culturale italiano si colloca nella sua capillarità sul territorio e nella continuità/contiguità tra museo e patrimonio diffuso: chiese, palazzi, monumenti, centri storici, strade, borghi… Questo è quello che ci rende unici.

LUISA PUPPO: Professore, un’ultima domanda. Che percezione ha della politica, è stato mai tentato di scendere in campo?

SALVATORE SETTIS: No, non mi interessa. Ci sono state voci in passato… Ho letto sui giornali il mio nome tra i possibili ministri del secondo governo Prodi e del governo Monti, ma nessuno mi ha mai contattato per chiedermelo, ed è meglio così. Non che io rifiuti la politica. L’etimologia del termine rimanda all’arte (techne) di organizzare il discorso dei cittadini nella polis. Dico no alla politica come mestiere, ma pratico il discorso politico da cittadino fra i cittadini. A parte la vita privata, il mio cuore “è” studio e ricerca. Se mai avessi fatto o facessi il politico di mestiere non potrei più fare ciò che amo per mancanza di tempo.

Certo, uno degli elementi negativi della politica come mestiere è il distacco, la lontananza, dei politici di mestiere dai territori di riferimento, data la legge elettorale che affida la scelta dei candidati e la loro gerarchia nelle liste alle segreterie dei partiti: una delle principali ragioni del calo dei votanti, del distaccarsi dalla politica. Tutti lo sanno, tutti lo dicono, ma una nuova legge elettorale non si vede. E gli eletti, paracadutati su territori che spesso non conoscono, non rispondono agli elettori, ma ai capi-partito che li hanno scelti.  

LUISA PUPPO: Professore, grazie di questo tempo prezioso e di questa conversazione ricchissima di spunti, buone prassi e “cibo per la mente”. E grazie soprattutto per il suo pathos militante anche di fronte alle stolidità di quest’epoca.

La aspettiamo gradito nostro ospite a Genova (o a Calizzano!), dove la nostra ospitalità è semplice ma premurosa. A presto!

Luisa Puppo, BioVoci

 


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