Sottrarsi, disconnettersi

immagine tratta da ibs.it

Ebbi notizia, alcuni anni fa (era il tempo in cui si cominciavano a definire “webeti” coloro che sproloquiano sulla grande rete), di pacchetti d’offerta “de-tech” rigeneranti per quelle persone ormai stressate dall’eccesso di web e social. Esperienze di soggiorno (se ricordo bene Svizzera?) in luoghi del benessere fisico e mentale da cui venivano categoricamente banditi gli smartphone e tutte le altre diavolerie dei nostri tempi. 

Anni dopo, mi ritrovo a leggere di continuo sui media la necessità – gridata in primis da importanti pedagogisti (Daniele Novara…) e psicoterapeuti (Alberto Pellai…) - di rallentare: titoli quali ad esempio “No smartphone agli under 14, niente social prima dei 16 anni”, nonché “Togliamo gli smartphone alla generazione ansiosa”, e un delizioso articolo di Massimo Fini su “Il fatto quotidiano” il quale scrive: “L’avvento del digitale ha cambiato profondamente, in fondo in pochissimi anni, le nostre vite, la socialità. I vecchi sono rimasti tagliati fuori. Ma la cosa nell’immediato futuro riguarda anche i giovani (…) Che cosa sarà di queste generazioni che non leggono e non scrivono a mano? (…) Secondo recenti studi “i disturbi dell’apprendimento degli studenti sono aumentati del 357% e i casi di disgrafia del 163% (dal Corriere della sera, 26 agosto). Inoltre l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Unesco, le Nazioni unite, la Commissione europea e anche la Commissione istruzione del Senato italiano hanno individuato nell’abuso degli smartphone la principale causa del crollo verticale delle capacità mentali dei giovani e della crescita esponenziale dei loro disturbi di ordine psicologico come depressione, ansia, aggressività, squilibri alimentari e tendenze suicidarie. Bisognerebbe mettere mano senza por tempo in mezzo a questa gigantesca questione che finisce per destituire l’umano dalla sua umanità (…) Questa corsa veloce, sempre più veloce verso il futuro, tempo che fra non molto diventerà inesistente, col pretesto di semplificarci la vita ce la sta rendendo insopportabile. E tutte le roboanti dichiarazioni di cui abbiamo cercato di dar conto sono solo retorica”.

Nessuna persona di buon senso nega l’utilità delle conquiste tecnologiche, smartphone incluso. Ma evidenze scientifiche e cliniche evidenziano ormai vere e proprie dipendenze giovanili (sul digitale pullulano “architetture” destinate a trattenere l’utente il più possibile), che impattano con la sfera fisica, mentale e socio-relazionale, dovute ad una fuga dal reale al virtuale – dalla vita vera alla fittizia - che sovente crea fragilità devastanti. 

A livello di “sintomi”, via via dal 2010 si tratta in primis di deprivazione del sonno, scarsa relazionalità, deficit di attenzione… A ciò si aggiunga che un giovane d’oggi padroneggia un numero di parole enormemente minore rispetto ad un coetaneo di vent’anni or sono. 

Molti genitori giustificano la propria scelta e “impotenza” dicendo “L’ho regalato a mio figlio perché l’avevano tutti”, e paiono non rendersi conto di ciò che sovente si incontra online (ladri di dati, pornografia, bullismo…) e che può condizionare i comportamenti dei loro figli. Ma “addiction” significa anche in questo caso che lo smartphone involve a trappola, a schiavitù, anche perché il cervello dei giovani è assai vulnerabile all’ingaggio dei contenuti usa e getta, delle chat, dei videogiochi…, che sono vissuti come stimoli in grado di dare gratificazione immediata, e si crea un circolo vizioso, di bulimie accelerate, per cui più si “gode”, più si desidera godere, lo scrolling si fa ipnotico. In modo compulsivo e reiterato. Ecco perché molti giovani trascorrono l’intera giornata chiusi nella propria stanza, isolati, anziché frequentare coetanei, fare sport... 

Il tema propone un’urgenza che non è più governabile solo a livello genitoriale, occorre una “tutela” da parte dei sistemi educativi nel loro insieme, un movimento di pensiero che si muova in molte direzioni, e occorre – per fronteggiare ciò che ormai è un’epidemia - un messaggio nitido anche da parte dello Stato. Là dove, fra l’altro, quei giovani che vanno sempre più “ingobbendosi” e ammalandosi saranno gli adulti di domani, e riesce difficile pensare che useranno lo smartphone solo come strumento di lavoro e – ma con giudizio - di “buon” svago… 

Nel frattempo, mi piace suggerire - nella saggistica sul tema, per fortuna già nutrita - la lettura del recentissimo Jonathan Haidt (psicologo e padre a propria volta di due adolescenti), “La generazione ansiosa”, ed. Rizzoli.

Umberto Curti, BioVoci

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