Eugenio Montale a tavola
Sebbene abbia lavorato lungamente a Firenze e Milano, noi “liguri” leghiamo Montale soprattutto a due luoghi: Corso Dogali a Genova, dove nacque, e Villa Fegina a Monterosso (la “pagoda giallognola” in stile liberty connotata da due grosse palme), dove trascorreva lunghi periodi. Monterosso è nota fra l’altro per le squisite acciughe e le feste dei limoni…
Nel 1968, a quarant’anni dal definitivo congedo dalla città, rievocò nell’incisiva prosa Genova nei ricordi di un esule: «Quando io venni al mondo Genova era una delle più belle e tipiche città italiane. Aveva un centro storico ben conservato e tale da conferirle un posto di privilegio tra le villes d’art del mondo; una circonvallazione più moderna dalla quale il mare dei tetti grigi d’ardesia lasciava allo scoperto incomparabili giardini pensili; e a partire dalla regale via del centro una ragnatela di caruggi che giungeva fino al porto».
Nel 1975 ottenne, come noto, il Premio Nobel per la letteratura «Per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni». Montale peraltro non fu solo poeta, ma anche traduttore, pittore, critico musicale…
Ultimo di 6 figli, era stato un ragazzino cagionevole, e fu iscritto a ragioneria, scuola più “easy” rispetto al classico, ma le attitudini già erano palesi; la letteratura, la poesia anche straniera, l’arte, il canto...
La mediterraneità che torna nei suoi componimenti è scabra, assolata, tra agrumeti, promontori, risacche lente, ossi di seppia, muri dagli aguzzi cocci di bottiglia. Ecco che in “Fine dell’infanzia”: “Pure colline chiudevano d’intorno marina e case; ulivi le vestivano qua e là come greggi, o tenui come il fumo di un casale che veleggi la faccia cadente del cielo”…
Antifascista per ragioni “culturali”, sottoscrisse nel 1925 il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” di Benedetto Croce, gesto che – anche a lui - costò piuttosto caro (nel 1939 dopo ripetuti “moniti” fu esonerato dalla direzione del Gabinetto scientifico-letterario Viesseux di Firenze).
Visse (per così dire?...) un secolo afflitto da due guerre mondiali e da sconvolgimenti cui via via l’uomo avrebbe faticato ad “adattarsi”… L’arte diviene dunque forma di vita “sostitutiva” per chi non individua l’anello che non tiene, e dunque rimane a riva, incapace di trovare un varco che lo liberi... Un destino infelice condiviso peraltro con le altre creature, se ”Spesso il male di vivere ho incontrato, era il rivo strozzato che gorgoglia, era l’incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato”…
E’ dal 1981 sepolto in un
cimitero appartato nei sobborghi di Firenze, con la moglie (a lungo malata)
Drusilla Tanzi, che soprannominava “la Mosca” per i grandi e spessi occhiali, e
a cui dedicò la raccolta Xenia (ch’erano nell’antica Grecia i doni porti
affettuosamente agli ospiti).
Le presenze femminili nella sua vita furono peraltro numerose: Irma Brandeis (Clizia), Maria Luisa Spaziani (la Volpe), Annalisa Cima…
E una serie di donne di servizio che non furono solo “governanti”: in primis Maria Bordigoni (che lo crebbe) e Gina Tiossi (che gli restò accanto fino alla morte).
Maria lo accompagnava alle elementari, al ritorno sostando alla “vaccheria” (lo chalet di corso Bertani) per merenda, con un bicchiere di latte e due biscotti del Lagaccio. Maria improntò il mood culinario della casa ai sapori intensi: aglio, cipolle, basilico, ripieni pestati nel mortaio…
E Gina lo accudì fino alla fine, e nel 2004, con una generosità encomiabile in una modesta pensionata, donò tutta l’eredità rimastale al Fondo manoscritti dell’Università di Pavia (compresa la macchina da scrivere “Olivetti lettera 22” e la famosa upupa impagliata). Per ulteriori notizie sul ruolo di Gina accanto a Montale leggimi a questo link.
Della cucina ligure Montale così ragionò: “Che la pesca e i viaggi fossero, certamente, le quasi sole occupazioni degli uomini è un fatto che spiega i caratteri della cucina ligure. Di conseguenza, è una cucina per gli assenti, insomma per quelli che tornando (non si sa tra quanti giorni) dovevano trovare in dispensa qualche cosa da mangiare. Perciò questa è l’origine di meravigliosi piatti freddi. La cima ripiena, la torta pasqualina… Sicuramente innumerevoli altri ripieni (di zucchine, di melanzane, di sardine, di cavoli), i sott’aceti, i sott’olio. Infine i funghi in addobbo, in pratica tutte le cibarie che non hanno nulla da perdere se il loro ipotetico consumatore non è ancora apparso all’orizzonte. Unica eccezione la panizza (di farina di ceci) che dovrebbe essere divorata caldissima prima che giunga a tavola”
E così ragionò di sé: «Nacqui lurco, mi adusai alla voragine del gargarozzo (mi giustifico sempre coi gelati di Giacomino); numerosi Sapienti mi predissero il Terzo Cerchio. Candida Gina, la Musa al liminare mi salverà per il rotto della cuffia. Eugenio Montale goloso come Leopardi».
Amava lo stoccafisso, il bollito misto (condito con sale grosso e olio di noci), e del basilico affermò che quello giusto cresce in una latta sui tetti d’ardesia della vecchia Genova…
Visse a lungo, come detto, a Milano, dove quotidianamente, ore 18.00 in punto, si recava (sempre con “la” Gina Tiossi) a gustare i marrons glacés del bar “Alemagna” di via Manzoni.
Era solito osservare gli avventori di ristoranti e trattorie, comparava menu e prezzi, e il 21 novembre 1964 alla libreria Einaudi di corso Manzoni gestì una “causerie” per l’uscita del ricettario “La cucina di Falstaff” di Vincenzo Buonassisi, noto gastronomo abruzzese
Circa il passito delle Cinque Terre commentò “…il tipo classico, bevuto sul posto, autentico, al cento per cento, supera di gran lunga quel farmaceutico vino di Porto".
Nella tarda e struggente “Al mare o quasi”, Montale accenna infine ai pinoli, indispensabili per la galantina, uno dei piatti più chic del Natale genovese.
La notizia telefonica della vittoria del Nobel non si legò ad una gran cena: riso (molto cotto) con olio, due polpette con insalata, e forse una pera?
Ma a Stoccolma furono ben 1086 i commensali... Il menu di gala previde mousse di rombo, gallinella delle nevi arrosto con salsa tartufata, patatine e insalata, gelato con biscotti, vino Chateau Lacaussade 1970 (un Bordeaux), champagne, cognac, liquore al mandarino e caffè. Montale sorrise dentro sé , pensando ai “coccodrilli”, ossia gli articoli di giornale pronti in archivio nel caso muoia d’improvviso un personaggio: “ Il mio coccodrillo adesso , caro Taulero Zulberti (l’anziano collega che l’aveva redatto) lo dovrai aggiornare”…
Umberto Curti
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