Aurelia. Mari di Liguria e molto altro
E’ “ligure” quel mare dai Balzi Rossi, sul confine con la Côte d’Azur, sino all’anfiteatro romano di Luni, una distesa tirrenica che raggiunge profondità di 1.000 metri, specchio brillante per le Alpi da Tenda al colle di Cadibona, e per gli Appennini da Cadibona al passo della Cisa…
Lo abitarono i Liguri, tribù di guerrieri e navigatori bellicosi sino all’età augustea; ed i Vagienni pare praticassero bene la viticoltura, preludio al medioevo allorquando i vini di Taggia e delle Cinque Terre cominciarono ad appassionare anche i letterati, creando quel paesaggio antropico a fasce terrazzate da muretti a secco che non cessa di strabiliare i turisti italiani e stranieri, gli enologi, i gourmet (l’arte dei muretti a secco è da alcuni anni fra i patrimoni UNESCO…).
Liguria dunque terra di roccia, di golfi, di brevi e precipitosi corsi d’acqua dal Roia al Magra, 234 Comuni per gran parte in forma di esili ma tenaci comunità, nomi sovente melodiosi all’orecchio, Apricale che deriva da apricus (soleggiato), Vernazza forse da verna (locale, da cui vernaccia?)…
La ferrovia e l’Aurelia alternano promontori inaccessibili, spiagge, approdi e porti, fortificazioni (a difesa dal saraceno e dal pirata!), ed ovunque vedute verdi e blu, grazie alle specie subtropicali e mediterranee. Il clima della Riviera rappresenta già in sé una risorsa senza eguali, Sanremo ha tendenzialmente medie di 9° in gennaio e di 25° in luglio, un buen retiro che il cambiamento climatico non potrà che danneggiare. Anche quando te ne senti lontano, infatti, in Liguria hai vicina una costa, un tuffo nel cobalto, un’immersione a navigli affondati, a specie ittiche rare, a coralli e posidonie. E dove oggi la villeggiatura balneare ed escursionistica riempie – talora all’eccesso - i lungomare dalle palme impettite ed i sentieri odorosi, ieri fervevano le attività agricole, artigianali, il commercio terrestre e marittimo. Una prima fascia di terreno, litoranea, donava – come oggi – ortaggi (si pensi alla piana d’Albenga), fiori, frutta, nonché olio e vino, pochi per quantità ma impareggiabili per qualità. Una seconda, alquanto più discosta dal mare, era luogo elettivo per cereali, patate, foraggi, ed ancora ulivo e vite. Una terza, infine, verso la montagna dove ulivo e vite non ascendono, si caratterizzava per i seminativi, i boschi solenni (fra cui i castagneti), i pascoli ormai “verticali”, le malghe delle transumanze e della cucina bianca.
Le case costiere color pastello – come noto – servivano anche romanticamente ad orientare verso mogli e figli i pescatori di ritorno dalle loro battute, battute che a propria volta generavano un’industria – ed una tradizione - di cantieri navali (gozzi in legno, leudi…), di retifici, di salagione e vendita del pesce. A Noli la sciabica catturava i cicciarelli (detti anche lussotti), che come le bughe sono eccelsi in carpione. A Monterosso vige orgogliosa la ritualità dell’acciuga, confezionata in cento modi. Nell’Imperiese qui e là si cucina l’anguilla, fino alla savonese Ortovero. E poi boldrò (è la rana pescatrice), musciamme - dall’arabo mushamma’ - e bottarga, sgombri, polpi, rombi, naselli, tonni, seppie, triglie, una biodiversità tutta da preservare, anche a costo ove necessario di restrizioni e fermi-pesca…
Venne poi per Genova il tempo delle crociate, del trionfo alla Meloria contro Pisa (1284) che portò con sé una leggenda sulla farinata, dell’impero finanziario che mercanteggiava col mondo le spezie ed ogni altra merce pregiata. Il tempo infine di Cristoforo Colombo, ma questa è storia che esula da BioVoci…
Per conoscere i mari di Liguria e le tante storie e pagine che i percorsi litoranei recano con sé, il libro magnifico che oggi suggerisco ai lettori di BioVoci è Aurelia e le altre, uscito a cura di Regione Liguria presso l’editore Diabasis nel 2006.
Umberto Curti BioVoci
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