La legge della montagna

 


Sta prendendo forma, con l’iter da Montecitorio a Palazzo Madama, la cosiddetta – e attesissima - “Legge della montagna”, relativa anzitutto a quelle terre alte e quei piccoli Comuni “marginalizzati” dove spopolamento e digital divide stanno via via infliggendo colpi sempre più duri. Infrastrutture, servizi, efficientamenti energetici e tutela ambientale (gli ecoreati come la deforestazione sono sul banco degli imputati anche in termini di cambiamento climatico*) costano molto, e certo non si può pensare di ricondurre le persone – i giovani - su quelle Alpi e quegli Appennini (quasi sempre a rischio idrogeologico…) donde a suo tempo altre persone sono fuggite.
Chi ha letto con attenzione alcune pagine di autori come Paolo Cognetti o Luca Mercalli sa che in montagna la “natura” non è una cartolina, non è una risorsa per il turismo e il relax, bensì in primis è sacrificio, isolamento, talora mancanza di opportunità formative e lavorative. Così come occorrono progetti – a livello locale tanto quanto comunitario – strettamente pensati col supporto di chi davvero vive il territorio e conosce le dinamiche dell’impresa agricola/montana, e strettamente fondati su analisi ecologiche, socioeconomiche e tecnologiche (non meri “censimenti” dell’esistente) idonee a guardare avanti, alle tendenze degli anni a venire.
Personalmente mi reputo un buon conoscitore delle microgeografie liguri, da ventidue anni vivo per non brevi periodi a Calizzano esplorando senza sosta le valli Bormida, Tanaro e Mongia, e insegno nei corsi che abilitano su scala regionale alla qualifica e al lavoro di Guida Ambientale Escursionistica.
Non mi stanco dunque di sottolineare specificità e urgenze. Gli ecosistemi denotano infatti biodiversità non solo naturali: vicende storiche, cultura, lingua, tradizioni rurali/artigianali fanno dell’Italia il Paese dei mille campanili e delle mille comunità (e purtroppo anche delle mille frazioncine ormai abbandonate…). I giovani, peraltro, in gran numero stanno prendendo coscienza che il modello città è in massima parte fallito, connotato da una qualità della vita e da posti di lavoro sovente deprimenti, precari, che non consentono carriere.
Più che al pendolarismo molti vorrebbero orientarsi a nuove quotidianità in campagna e montagna, adeguate ai tempi, e quindi – comprensibilmente – verso territori relativamente ben raggiungibili e ben raggiunti dalla banda larga. Territori dove praticare agricolture sostenibili, allevamenti “a misura d’animale”, relazionalità nuove, dove talora riattualizzare mestieri quasi scomparsi. Una buona “Legge della montagna” – che badi ai contenuti autentici più che agli adempimenti burocratici e che corregga ciò che prefigurava circa gli "spopolamenti irreversibili" di alcune aree, quasi che la politica avesse il diritto di "sopprimerle" (link qui) – potrebbe in tal senso esser loro di enorme giovamento.

*gli alberi sono notoriamente dei termoregolatori preziosi. Siamo tutti d’accordo circa il fatto che il bosco vada opportunamente “seguito” e periodicamente tagliato, ma tagliato il minimo indispensabile… I Paesi più avanzati garantiscono uomini e mezzi adeguati ai propri organi di controllo forestale. Mi auguro dunque che nel futuro prossimo molta industria del legno possa riconvertirsi…

Umberto Curti

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