Cucina italiana patrimonio UNESCO

 


23.03.2023, una data in qualche modo “storica”: il governo italiano candidò ufficialmente - e finalmente secondo tanti - «la cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale» a patrimonio culturale immateriale dell'Unesco. Liborio Stellino consegnò a Tim Curtis la documentazione necessaria alla candidatura.

Candidatura promossa da un pool di esperti, che fra l’altro individuarono 3 comunità emblematiche: Fondazione Casa Artusi (fondata nel 2007 per promuovere la “cucina di casa italiana”), Accademia Italiana della Cucina (fondata nel 1953 da Orio Vergani, oggi 220 sedi in Italia e 80 nel mondo), La Cucina Italiana (rivista fondata nel 1929, la più antica al mondo fra quelle ancora in edicola). E, fra le molte comunità sostenitrici, anche ALMA e Slow Food.

La cucina fa certamente parte della nostra storia ed è un patrimonio sia per 60 milioni di italiani sia per quegli altri 80 milioni, e loro discendenti, che vivono all’estero (non di rado perpetuando tradizioni italiane e praticando turismi del ritorno), nonché per tanti stranieri che amano e si ispirano allo stile di vita italiano. Tutela e idonea promozione compaiono fra l’altro fra le migliori strategie per contrastare anche quell’Italian sounding che nel mondo odiosamente falsifica la nostra creatività.

Io sono nondimeno fra coloro, vista la "confusione" che talora regna nel settore, i quali affermano che una cucina italiana tout court, per ovvie ragioni, non esisterebbe, se non attraverso alcune "forzature" di una storia politica controversa che non cancella ampie diversità di alimenti, tradizioni, lessici, campanili. Essa assurge casomai a straordinaria sommatoria di prodotti iper-regionali, di gesti e usi sovente assai lontani fra loro (cosa lega la cassata siciliana ai canederli trentini? Ma anche cosa lega il pesto genovese alla cassoeula lombarda?). Ed in effetti l’estensore del dossier di candidatura ha tenuto a precisare che la cucina italiana non è intesa come pratica culinaria, ciò che viceversa si potrebbe automaticamente pensare, bensì piuttosto come rapporto degli italiani col cibo (convivio, trasmissione intergenerazionale di ricette, sagace frugalità nel riciclo...). A titolo esemplificativo, sedere a tavola tutti assieme, cucinare per i propri cari, confrontarsi con produttori e rivenditori locali... Aspetti senz’altro veritieri ma che tuttavia non paiono caratterizzare “specialmente” tale nostro rapporto, di italiani con il cibo, anzi paiono caratterizzare – ovviamente - svariate altre cucine sia sulle sponde mediterranee sia altrove...

La candidatura propone però due contenuti meritori che mi stanno particolarmente a cuore (e non da oggi), ovvero la sostenibilità e la diversità bioculturale. Ed ecco dunque, a “legare” i due contenuti, quella messe di valori che da 30 anni sostanziano anche il mio lavoro: agricoltura pulita, tracciabilità certificate, cultivar autoctone, filiere brevi, grani antichi… Perché qualità, a tavola, significa contemporaneamente difesa del pianeta che ci nutre, genius loci, e buonessere.
Umberto Curti

 

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