L'arte dei muretti a secco, patrimonio UNESCO
Museo dell'olivo Carlo Carli, Imperia |
Elemento paesaggistico caratteristico e rappresentativo del territorio ligure, ormai ben noto in tutto il mondo, i muretti a secco ("maxei", da macerie) costituiscono un mirabile esempio di antropizzazione del territorio, avvenuto in tempi lontani, perfettamente integrato da secoli nell’ambiente in cui si sviluppa e funzionale alla cosiddetta “agricoltura eroica”, che trova la sua massima espressione e notorietà sulle fasce terrazzate delle Cinque Terre, ma Mario Soldati rimase incantato anche da Pornassio (IM)...
La notorietà è cresciuta di pari passo con il turismo, a tal punto che l’arte costruttiva che ne è il fondamento è riconosciuta dall’UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità dal 2018, su iniziativa di otto Paesi europei tra cui l'Italia.
Ma cerchiamo di mettere un po’ di ordine su questo tema, fissando alcuni aspetti che ci possano aiutare ad averne una visione complessiva più esaustiva.
Le origini dei muretti a secco non datano una "invenzione" specifica, ma hanno radici antichissime (le prime testimonianze risalgono a epoche preromane) e diffuse in molte culture, in particolare nel bacino del Mediterraneo, in Europa e in America Latina.
Il loro utilizzo era legato ad esigenze pratiche per delimitare i terreni, creare terrazzamenti agricoli collinari e montani, proteggere le coltivazioni dal pascolo e dagli agenti atmosferici. Nel corso del tempo la conoscenza costruttiva si perfezionò e si specializzò sempre di più, anche in funzione delle necessità specifiche, fino a diventare una vera e propria raffinata tecnica, frutto dell’attento e faticosissimo lavoro di innumerevoli generazioni che ne sono state ideatrici e custodi per secoli. Da tempi remoti quindi, in molte parti del mondo, i terrazzamenti sono stati realizzati dall’uomo adeguando le capacità costruttive alle condizioni specifiche di ogni versante. Alcune notizie ci riportano come detto ad età antichissime, in cui le tecniche dei terrazzamenti venivano già utilizzate per adattare la morfologia del territorio all’erezione di architetture straordinarie (come, ad esempio, i giardini di Babilonia e i palazzi cretesi di età medio-minoica). Erodoto nel 400 a.C. raccontava di alcuni terrazzamenti a scopo agricolo presenti in Grecia. Erano poi utilizzati dai Romani nelle loro ville, e divennero anche un elemento del paesaggio medioevale, quando le conoscenze agronomiche e idrauliche del mondo arabo ne determinarono lo sviluppo in tutto il Mediterraneo. In Italia il maggior sviluppo avvenne nel Rinascimento, quando furono descritti e codificati nei manuali, anche come sistema di difesa dall’erosione per la coltivazione su pendii acclivi. Ulteriore diffusione si ebbe infine nel Settecento, per arrivare nell’Ottocento alla massima.
I più remoti segni del terrazzamento sul territorio ligure risalgono tra il 1700 e il 1400 a.C., a quote intermedie e in zone arroccate, spesso note con il toponimo di “castellari” (ad esempio, il castellaro di Uscio, e quelli di Zignago, di Camogli e di Pignone…), contesti di cui tanto ha parlato Umberto Curti nel suo saggio del 2012 "Il cibo in Liguria dalla preistoria all'età romana". Le “fasce” sembrano non avere epoca, poiché sono considerate parte integrante del paesaggio ligure da sempre, insieme ad altre forme di insediamento e strutture in pietra, adibite ad uso agricolo ed espressioni del mondo rurale. E così la storia dei terrazzamenti in Liguria va a sovrapporsi al racconto di una agricoltura “eroica”, creando una identità storica fatta di fatica e lavoro quasi sovrumano, contro la miseria, la siccità e la carestia, per modificare il profilo delle montagne in una interminabile successione di piani sostenuti da muretti a secco, per rendere produttiva una terra magra lungo versanti oltremodo ripidi.
E così una necessità di sopravvivenza ancestrale diventa tecnica costruttiva, la tecnica costruttiva diventa cultura storica di un territorio, e la cultura, infine, diventa arte, l’arte appunto della costruzione dei muretti a secco. Un’arte che, badate bene, da secoli e secoli si integra perfettamente nel territorio sia dal punto di vista sia paesaggistico che ambientale, senza l’introduzione o l’utilizzo di materiali lavorati o elaborati come il ferro, il cemento o i componenti plastici come avviene oggi, ma utilizzando solo la pietra, che diventa essa stessa elemento di stabilizzazione e conservazione del territorio. La pietra e il terrazzamento che sorregge diventano quindi essi stessi patrimoni culturali, sociali, storico-architettonici, e, aspetto non meno importante, bio-culturali, costituendo veri e propri habitat preferenziali per alcune specie di piante e di animali che vi trovano rifugio, aumentando la biodiversità dell’ecosistema.
Una eredità tanto importante e preziosa, quanto fragile e minacciata dall’abbandono e dal degrado, che ne stanno causando un lento e inesorabile danneggiamento. Crolli parziali, piccole frane, soverchiamento del terreno e della vegetazione, sono il preludio di un dissesto che poi sempre porta all’instabilità dell’intero versante. Per questo è importante che, compresone il valore, le tecniche costruttive siano di dominio pubblico (e di fatto oggi lo sono attraverso interessanti e dettagliati manuali, presenti in rete, e corsi specifici, per esempio i corsi effettuati a Pentema nel comune di Torriglia) senza alcuna gelosia sugli antichi saperi dei nostri antenati. Laddove le istituzioni non riescano sufficientemente a finanziarne la manutenzione o il recupero, l’impegno dei singoli proprietari dei terreni, una volta edotti, potrebbe essere importante per arginare il degrado che stanno subendo dal secondo Dopoguerra ad oggi queste antiche infrastrutture (così andrebbero definite in quanto sorreggono anche molte delle strade nelle valli più impervie dell’entroterra ligure, e contengo frane al pari di muri di contenimento in cemento armato, ad esempio in Val Pentemina e in Valbrevenna).
Un’ultima riflessione sull’istituzione dell’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura), fondata nel novembre del 1945, solo due mesi dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, e tre mesi dopo le terribili e devastanti esplosioni atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Fu pensata da uomini illuminati che avevano davanti agli occhi l’enorme distruzione e l’impressionante numero di morti causati dalla guerra. L’UNESCO è un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite, avente l'obiettivo di costruire la pace e la sicurezza mondiale attraverso la cooperazione internazionale. Costruisce la pace, fondata sui principi di solidarietà spirituale e morale tra gli esseri umani, e cerca di promuovere una coesistenza duratura e universale. Incoraggia la collaborazione tra le Nazioni per condividere conoscenze, competenze e buone pratiche. Supporta la salvaguardia e la promozione del patrimonio culturale mondiale, definendo luoghi di importanza universale per la storia e la cultura umana. Sviluppa programmi di istruzione e scienza per combattere l'analfabetismo, promuovere la ricerca e affrontare sfide globali come i cambiamenti climatici.
È meraviglioso che questa istituzione, tra le altre cose, identifichi e tuteli l'insieme dei luoghi del mondo che sono importanti per la storia e la cultura di tutti gli uomini e di tutte le donne del nostro pianeta, luoghi che hanno quindi un valore universale, e non soltanto per i cittadini che vi abitano vicino. Ma non vanno mai dimenticate le profonde ragioni di universalità, condivisione e pace tra gli esseri umani che ne sono il fondamento.
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