COP30, cui prodest?

 

COP30 2025

Proprio in questi giorni è in corso la COP30, ovvero la Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, giunta alla sua trentesima edizione. Il termine Parti fa riferimento ai quasi 200 Paesi firmatari dell’accordo originale delle Nazioni Unite sul clima del 1992, avvenuto a Rio de Janeiro. Dopo 30 anni l’evento si svolge di nuovo in Brasile, nella città di Belém: qui si percepisce il grande respiro della foresta Amazzonica, e nella vicina isola di Marajó è possibile apprezzare spiagge incontaminate, ecosistemi unici e vaste aree di foresta, insigni rappresentanti di una biodiversità strabiliante. Poco più a nord, le acque del Rio delle Amazzoni, il più grande fiume del mondo, l’arteria madre del grande polmone del nostro pianeta, si incontrano con l’Oceano Atlantico, in un grande abbraccio. Ma si respira anche storia e cultura, che richiamano ai tempi della corsa all’oro e dell’estrazione del caucciù, poi musica, gastronomia. A leggere di questo luogo, viene voglia di saltare su un aereo e volare a visitarlo.

 

Ho volutamente divagato, perché la bellezza, il significato e l’importanza che questi luoghi rivestono per l’intero pianeta e per tutta l’umanità, scelti non a caso come simbolo iconico per l’evento COP30,

stridono violentemente con i dati impietosi e con le gravi tematiche ambientali che qui vengono presentate e discusse. Ma in fondo, perché preoccuparsi tanto? La notizia della COP30 è relegata, se presente, alla parte finale dei telegiornali, e il negazionismo è sempre più diffuso: più volte ho sentito dire “ma in fondo le variazioni climatiche ci sono sempre state, le stiamo solo un po’ accelerando”, da cui la mia risposta “si è vero, però le stiamo accelerando di qualche milione di anni”. L’opinione pubblica sembra allontanarsi e distaccarsi, assuefatta e distratta da una informazione che relega in secondo piano le tematiche ambientali, focalizzandosi comprensibilmente sempre di più sulle tante emergenze geo-politiche, militari, economiche e finanziarie, umanitarie e sociali, di un mondo che sembra impazzito. Ma di fronte a questi incendi violenti che si scatenano ogni giorno davanti ai nostri occhi, su cui, in qualche modo, concentriamo le nostre e energie e le nostre risorse per porvi rimedio, ce n’è uno che brucia e consuma lentamente e inesorabilmente, che deriva sempre di più verso un punto di non ritorno, di anno in anno, con dati sempre più allarmanti: pensare di risolverlo quando si manifesterà in maniera ancora più evidente di quanto non abbia già fatto, rimandare, è follia pura. Leggiamo alcuni dati e valutazioni recenti.

 

Secondo i dati del servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus dell’UE (C3S), il 2025 è ormai quasi certo di chiudere come il secondo o il terzo anno più caldo mai registrato. Copernicus afferma che i risultati riflettono il “ritmo accelerato del cambiamento climatico”, che fa salire le temperature globali perché la combustione di combustibili fossili rilascia gas serra che intrappolano il calore in atmosfera. Il riscaldamento globale riduce anche la copertura nuvolosa a bassa quota, facendo ulteriormente aumentare le temperature. "Siamo ormai nel decennio in cui è probabile superare il limite di 1,5 °C, a conferma del ritmo accelerato del cambiamento climatico e della necessità urgente di agire", afferma Samantha Burgess, responsabile strategica per il clima di Copernicus.

 

“La preoccupazione è fortissima perché ormai il balzo di temperatura iniziato nel 2023 si sta confermando come tendenza. Gran parte dei politici paiono non rendersi conto delle implicazioni per la vita di tanti cittadini e per la stessa solidità e tenuta delle società e delle economie. Dobbiamo fare di tutto per arrestare questa tendenza, e la ricetta è drammaticamente semplice: smettere di bruciare i combustibili fossili e fermare la deforestazione. È responsabilità di ciascun Paese e speriamo diventi anche responsabilità comune alla COP30 di Belém, con un vero e proprio percorso di uscita dalle cause delle emissioni climalteranti, dunque dai combustibili fossili. Ci vuole tanto coraggio, tanta determinazione, ma soprattutto tanta collaborazione da parte di tutti.”

Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia.

 

Insieme alle ondate di calore, l’estate 2025 sarà ricordata anche come una delle più drammatiche per quanto riguarda gli incendi, spesso alimentati dal caldo torrido e dal forte vento. I primi sono scoppiati alla fine di giugno nel sud ovest della Francia, dove hanno distrutto circa 400 ettari di terreno e provocato la chiusura di strade e l’evacuazione dei residenti nelle vicinanze. Poco dopo, ha iniziato a prendere fuoco anche la zona di Segarra in Catalogna, dove sono bruciati circa 5.000 ettari e sono state confermate almeno due vittime. La Catalogna non è stata l’unica regione della Spagna ad andare a fuoco. Nel corso di luglio 2025, altri incendi sono stati riportati nella provincia di Tarragona, dove è andato a fuoco un terzo del Parc natural dels ports, e nella regione di Castiglia-La Mancia. Sempre in Europa occidentale, gli incendi hanno interessato pesantemente le regioni centrosettentrionali del Portogallo. Nemmeno l’Europa orientale è stata risparmiata. In Grecia, sono scoppiati vari incendi boschivi sull’isola di Creta, nella regione del Peloponneso settentrionale e in Attica. Boschi e foreste hanno preso fuoco anche in Albania e a Cipro, dove le fiamme hanno devastato circa 100 chilometri quadrati della regione vinicola vicino alla città di Limassol.

Fonte: Gasbarrone Cramaro Chiara. “Wildfires in summer 2025: Europe and the world ablaze”, Geosmart Magazine. 28 agosto 2025.

 

Alla luce di quanto sopra, sembra paradossale il negazionismo. Eppure, tornando alla COP30, è la prima volta che gli Stati uniti rinunciano alla loro presenza ai colloqui sul clima, pur essendo il secondo emettitore mondiale di gas serra, dopo la Cina. L’Europa si trova sola a rappresentare il mondo Occidentale, mentre Pechino colma il vuoto producendo e installando energia pulita più di ogni altra nazione, e si conferma come primo produttore mondiale di pannelli solari e tecnologie a basse emissioni. I finanziamenti promessi alla COP29 dello scorso anno, tardano ad arrivare, e il segretario esecutivo dell'UNFCCC* Simon Stiell ha sottolineato che «i piani senza fondi non possono funzionare», poiché gli impegni previsti dalla Roadmap Baku-Belém** non sono ancora stati rispettati, i fondi non arrivano. Già lo scorso anno le cose non andarono tanto bene: i risultati finali non furono al livello delle attese, e ci fu un importante disappunto da parte dei Paesi in via di sviluppo, che giudicarono gli obiettivi dello sforzo finanziario per il clima ampiamente inferiori rispetto alle necessità reali. A tutto questo va detto che non mancano incoerenze e paradossi, come la costruzione di una tangenziale a quattro corsie lunga 13,3 chilometri che attraversa una parte di foresta a est di Belém, una zona protetta, funzionale proprio alla COP30. Inoltre la politica internazionale non perde occasione di mettere in contrasto l’Occidente con i BRICS***, le contaminazioni da interessi economici e finanziari sottesi si intuiscono, e i tentativi di politicizzazione delle tematiche ambientali (in tanti Paesi, tra cui l’Italia, già avvenuta) rischiano di imbrigliarle in uno schieramento politico, smorzandone la forza trasversale che dovrebbe essere condivisa da tutti. Quali impatti avranno realmente sul clima nel lungo periodo, le decisioni che verranno prese durante questo evento di portata mondiale, che raduna circa 200 Nazioni?

 

Nel frattempo il principale leader indigeno del Brasile lancia l’allarme: “Salvate l'Amazzonia, fermate lo sfruttamento, in Amazzonia trivelle e infrastrutture distruggono fiumi e terre”. E il direttore generale dell'OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha affermato che la “crisi climatica è una crisi sanitaria. È molto più facile convincere le persone dell'urgenza di proteggere la propria salute o quella dei propri figli che di proteggere i ghiacciai o gli ecosistemi. Entrambi sono importanti, ma uno è molto più vicino a noi". Inoltre circa 400 organizzazioni scientifiche, ambientaliste e sociali hanno lanciato un appello ai negoziatori della Cop30, chiedendo "azioni immediate e vincolanti" per fermare la crescente ondata di disinformazione sul cambiamento climatico.

 

Per tutte queste ragioni, ho deciso di scrivere questo articolo durante lo svolgimento del summit, senza attenderne la conclusione e gli esiti. Vero è che anche i piccoli passi possono avere un grande valore, ma il risultato finale di questa sfida si gioca tutta sulle tempistiche di azione, e se i passi sono troppo piccoli e troppo pochi, la sopravvivenza del mondo come lo conosciamo oggi è a rischio. Lascio quindi a voi, gentili lettori di Biovoci, l’impegno di informarvi con senso critico sui risultati finali della COP30 che si concluderà tra pochi giorni, io un’idea me la sono già fatta: spero che la vostra sia più ottimistica della mia, e spero quindi che abbiate ragione voi.

 

 

*L'UNFCCC (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) è un trattato internazionale del 1992 nato al Summit della Terra di Rio de Janeiro con l'obiettivo di stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera per contrastare il riscaldamento globale.

 

**Roadmap finalizzata a rafforzare la cooperazione internazionale e ad aumentare in modo significativo le risorse finanziarie, sia pubbliche che private, destinate ai Paesi in via di sviluppo.

 

*** Sono le economie emergenti di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. 



Riccardo Poggio - BioVoci
Guida Ambientale Escursionistica



 


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