Una Giornata per gli alberi
La Liguria – con una orografia che incentiva la biodiversità - è una regione molto forestata, i suoi paesaggi verticali sono ecosistemi dove da sempre il blu ed il verde interagiscono, le scogliere dialogano coi castagneti, i gozzi da pesca con gli uliveti, le vigne con le faggete… La rarità di aree pianeggianti ha imposto all’uomo agricolture eroiche, non a caso il compianto Gino Veronelli definiva gli olivicoltori liguri “angeli matti”, e si ostinava nella meritoria difesa delle cultivar autoctone, delle filiere brevi, delle produzioni pulite, affermando provocatoriamente “Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino industriale”…
Non pochi insiemi di “altitudini” in Liguria sono connotati generalmente dal nome della vetta più alta, o più significativa, ecco l’Antola, ecco il Beigua, alberi a perdita d’occhio, fioriture, transumanze, e la regione è assurta a destinazione outdoor perché consente milioni di sport e attività all’aria aperta, a pieno contatto con la natura: il Finalese anni fa tracciò una direzione, con le falesie ed il mtbiking, che è divenuta un club di prodotto turistico, e ha fatto scuola.
Il mio personale omaggio al 21 novembre è rammentare agli amici Lettori di “Biovoci”, qualora ve ne fosse bisogno ma immagino di no, quanto il bosco, quanto ogni albero sia stato e tuttora sia alleato dell’uomo lungo quell’evoluzione che oggi, tuttavia, ci pone numerosi interrogativi, coinvolti come siamo in dinamiche globalizzanti dove non sempre – per mutuare un concetto di Pasolini – lo sviluppo è progresso. Legna da ardere, legna da costruzioni, ma anche nutrimento, si pensi ai frutti di bosco (il castagno in Appennino era detto “albero del pane”), ai funghi, al miele, alle erbe, alle bacche… In tal senso il bosco che oggi sovente accoglie gli escursionisti offrendo silenzi e relax (e sovente molte sorprese, confinati come siamo nei contesti urbani) non va pensato solo in un’ottica di “evasione”, ma come partner irrinunciabile e vivo delle nostre esistenze.
I territori forestati costituiscono dunque un patrimonio tutt’altro che periferico e residuale, e l’avvenire del nostro Paese si basa oggi più che mai sulla capacità di accompagnare i luoghi non verso “spopolamenti irreversibili”, bensì verso resilienze e cambiamenti – infrastrutture, servizi, opportunità di lavoro e di vita – idonee a far via via tornare comunità di persone là dove purtroppo, nei decenni trascorsi, le comunità si sono – per cause di forza maggiore - diradate o estinte. Ho la sensazione che molti giovani stiano già praticando, o progettando, questo “ritorno”, e preferiscano la vita rurale, l’orto, l’allevamento, l’apicoltura…, a tanti lavori stranianti e non di rado precari che la contemporaneità ha esplosivamente generato.Umberto Curti BioVoci

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