Lomellina e Oltrepò...

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Luisa Puppo ed io siamo due genovesi forse “atipici”, sovente abbiamo bisogno di Pianura Padana, di brume, di diversi paesaggi accenti cucine. Non da oggi sanno sovente sedurmi la Lomellina (anche per via di un antico e attuale amico) e l’Oltrepò Pavese (cui mi lega anzitutto la viticoltura), ad un’ora di treno o poco più dal luogo in cui vivo… Come non restare incantati in mezzo alla piazza Ducale di Vigevano? O dinanzi all’abbazia cistercense di Morimondo? O dentro il chiostro dell’Annunciata di Abbiategrasso? O sotto le torri del castello visconteo di Sartirana? Da ragazzino, poi, seduto sul divano posteriore di una “Giulia”, restai colpito dal lungo Ponte della Becca, là dove Ticino e Po confluiscono dilatando le acque in spazi immensi (oggi, purtroppo, neppur ricordo di quale viaggio si trattasse). E più avanti con gli anni, ma sempre una vita fa, reduce in auto da Milano con una persona a me molto cara (che amava Salice Terme), m’inventai un pranzo a Bereguardo, uno shopping qui e là di salami, petti d’oca stagionati, offelle e mostarde – a quei tempi eravamo molto meno “vegetariani” rispetto al presente - , e un ritorno a Genova lungo la statale 45 della val Trebbia, passando per l’incantevole Bobbio “colombaniana” e infine per millecento curve in discesa. Avessi già conosciuto mio suocero, anch'egli gourmet autentico, mi avrebbe certo condotto anche a Torricella Verzate, fra superbi “metodi classici”, e Barbera, e Pinot, e Moscati. Prosit! Era già estate, geometrie di campi coltivati, cascine, campanili a matita, l’abbaiare saltuario di cani, risaie, marcite, pioppi, silenzi e poi cicale, io non ho la penna di Gianni Celati né la macchina da presa di Ermanno Olmi, ma in quei luoghi vi sarebbe ancora tanta Italia da descrivere, da tutelare… Qualche tempo fa ho tuttavia appreso con sgomento (confesso che ne ero ignaro) che proprio dal Pavese si è irradiata l’epidemia di peste suina africana, vi si trova l’allevamento zero da cui è esploso il contagio (al momento in Italia sono attivi 24 focolai, che sono già costati più di 50mila esemplari abbattuti, con conseguenti lockdown e “crolli” aziendali). La malattia, forse giunta in Sardegna nel 1978 tramite rifiuti alimentari infetti, è generalmente letale per i suidi e non esistono vaccini né cure. Malgrado tutto, essa, coi disastri che va producendo, a me pare uno dei tanti e perfetti ritratti della globalizzazione in cui siamo - volenti o nolenti – immersi, e dell’inadeguatezza del fattore umano, ormai incapace di garantire biosicurezze alle comunità. Ne vorremo un giorno (di questi) parlare, più lucidamente e concretamente di quanto talvolta non si faccia?

Umberto Curti, BioVoci

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