Conversazione con Andrea Membretti

 


Care Lettrici e Lettori di BioVoci, ho il piacere di introdurvi questa volta il Professor Andrea Membretti, tra i fondatori dell’Associazione Riabitare l’Italia, e docente di Sociologia del territorio all’Università di Pavia. La sua attività di ricerca e progettazione è focalizzata sulla mobilità umana in contesti metromontani. Tra le sue ultime pubblicazioni la curatela di Voglia di restare. Indagine sui giovani nell’Italia dei paesi (2023) e Migrazioni verticali. La montagna ci salverà? (2024), entrambe edite con Donzelli.

LUISA PUPPO Professor Membretti, qual è stata la genesi di “Migrazioni verticali. La montagna ci salverà?

ANDREA MEMBRETTI Le migrazioni verticali sono soggetto di indagine del progetto Miclimi (Migrazioni climatiche e mobilità interna nella metro-montagna padana, www.miclimi.it), che si propone di investigare, quantificare e comprendere il fenomeno della migrazione interna per cause o concause climatiche, con particolare riferimento alla metromontagna padana del nord-ovest: il territorio interconnesso ai poli di Milano e di Torino, che comprende il tessuto urbano e di pianura delle città lombarde e piemontesi, unitamente a quello montano e interno delle valli alpine. Miclimi è stato ideato da EuCliPa.IT, associazione di cittadini e ambasciatori italiani del Patto Europeo per il Clima, col sostegno della Fondazione Cariplo – un contributo importante non solo in senso economico, ma anche di condivisione e sviluppo di ulteriori attività. Dagli esiti della ricerca è infatti scaturito un ulteriore progetto di civic engagement - denominato Futuri Dentro - focalizzato sulla Val Saviore (territorio dell’Adamello, Lombardia), sulla Valle Antigorio (valle laterale della Val d’Ossola, Piemonte) e sulla Val Formazza (valle del comprensorio della Val d’Ossola, Piemonte): qui le attività prevedono il coinvolgimento delle comunità locali sul tema climate change in ottica di adattamento, evitando i due estremi opposti del negazionismo e del catastrofismo.

Nel board di Miclimi è presente OIM (Organizzazione Internazionali per le Migrazioni), che anche nel volume sottolinea quanto urga sfatare la rappresentazione diffusa circa il termine “migrazione”, evidenziando quanto essa sia un fenomeno connaturato alla storia e alla natura umana…
Due sono i punti chiave da cui partire:

  • se in passato la migrazione aveva carattere orizzontale (da un punto A ad un punto B), ora la migrazione ha natura anche tridimensionale e quindi verticale;
  • migration as an adaptation strategy to climate change: OIM ribadisce quanto la migrazione rappresenti una delle possibili misure di adattamento all’impatto climatico.

Adattamento per chi? Secondo i dati raccolti nell’ambito di Miclimi il 30% degli intervistati – residenti in aree urbane della pianura padana, territorio esposto ad un’emergenza climatica in continuo peggioramento - pensano che il muoversi, lo spostarsi sia adattamento, e che forse la montagna potrà essere una soluzione.

LUISA PUPPO “Salire in montagna”, citando Luca Mercalli, col quale ho avuto il piacere di dialogare qualche mese fa qui su BioVoci. Un concetto che ritorna.

ANDREA MEMBRETTI In “Migrazioni verticali. La montagna ci salverà?” proprio Mercalli parla non a caso di punto di non ritorno. Fino a 10/15 anni fa una serie di interventi di mitigazione e cura del territorio erano ancor possibili, ma non sono stati fatti, si traggano ora le conclusioni. E sono inutili le polarizzazioni estreme del tipo “Trump vs Thumberg”.


LUISA PUPPO Professore, cosa si intende dunque specificamente con l’espressione metro-montagna?

ANDREA MEMBRETTI Il cambiamento climatico ci costringe a ripensare funzioni, stili di vita, modelli e sistemi insediativi, concepiti tra città e montagna in ottica complementare e non esclusiva. Ad esempio, mi trasferisco in montagna, lavoro in montagna, ma lavoro “con” la città, oppure (in altri casi) alterno periodi in montagna a periodi residenziali in città [NdR un’opzione nella quale personalmente mi riconosco e che pratico da alcuni anni...]

Metro-montagna è termine che dobbiamo a Giuseppe de Matteis, professore del Politecnico di Torino, socio fondatore dell’associazione Dislivelli (https://www.dislivelli.eu/blog/). Da quasi vent’anni l’Associazione effettua attività di ricerca sui nuovi montanari. È emerso sin dai primi studi un trend qualitativo (non quantitativo) in crescita, con una costante di sviluppo influenzata da diverse variabili: la spinta “green”, la fuga dalla città insostenibile, la volontà di riorganizzarsi la vita. A questi fattori, nel tempo, si sono aggiunti l’impatto della pandemia e la crisi del cambiamento climatico.

Parallelamente, assistiamo in questi anni alla crescita dell’overtourism in quelle località che hanno investito molto per diventare grandi resort, si pensi a Trentino ed Alto Adige. Nelle Alpi Orientali c’è overtourism, nelle Alpi Occidentali molto meno. Per i milanesi, ad esempio, la montagna è il Trentino Alto Adige o la Val d’Aosta, non le Alpi Orobiche o la Valtellina, per quanto molto più prossime alla metropoli…

Notevole è stato inoltre l’impatto mediatico sull’immaginario collettivo de “Le otto montagne” di Paolo Cognetti (il libro, ma soprattutto per ovvi motivi il film).

Attenzione; non si tratta di “spostare” il 30% degli abitanti della pianura padana in montagna, non parliamo di un assalto senza senso alla montagna. Siamo in presenza di un tema di giustizia sociale, anche in risposta al fenomeno della cosiddetta eco-ansia (o "ansia climatica"), l'emozione che si attiva nel momento in cui il cambiamento climatico viene percepito come catastrofe incombente e inevitabile, un’ansia trattata dalle due psicologhe Daniela Acquadro Maran e Tatiana Begotti nel loro saggio in Migrazioni verticali. Giustizia sociale e salute, spesso compromessa nelle grandi città a causa dell’inquinamento, della bassa qualità di vita e del climate change: bambini, anziani, persone con patologie respiratorie sono soggetti a rischio. Là dove il sistema sanitario attuale (per ora) garantisce due settimane di cure termali all’anno per la cura di varie patologie, può essere rivendicato il diritto alla montagna? È un tema enorme: montagna e welfare, politiche sanitarie che diventano politiche di governance e di sviluppo, che consentono (anche) la destagionalizzazione.

La crescita di interesse verso la montagna è testimoniata anche dal proliferare di corsi di qualifica per l’abilitazione GAE (Guida Ambientale Escursionistica): una scoperta della montagna “accompagnata” da professionisti – facilitatori.

LUISA PUPPO A proposito di orientamento e facilitazione, Professore, ci illustra l’attività dello Sportello Vivere e Lavorare in Montagna (Torino)?

ANDREA MEMBRETTI Orientamento, accompagnamento e formazione: “Vivere e lavorare in Montagna” è oggi un progetto-ombrello che si articola nei servizi Sportello  e Scuola di Montagna. Vede coinvolti la Città Metropolitana di Torino in collaborazione col Dipartimento di Culture, Politica e Società dell'Università degli Studi di Torino e con SocialFare-Centro per l’Innovazione Sociale.

Il Servizio “Vivere e lavorare in montagna” è nato in realtà sette anni fa in modalità sperimentale a cura del dipartimento CPS (Culture, Politica e Società) dell’Università di Torino con il funding della Compagnia di San Paolo. L’obiettivo era quello di intercettare la domanda di montagna, con un focus iniziale sul cambiamento di vita. Successivamente, la Città Metropolitana di Torino ha aderito all’iniziativa apportando un importante contributo economico e istituzionale. Poggiando su un’intensa attività di ricerca si sono identificati due target prioritari: chi vuole fare impresa; chi vuole vivere e/o lavorare in montagna. Una platea composita per età - dai 20 anni (soprattutto crea impresa) agli over 70 (active aging) – e progettualità – chi ha già le idee chiare e chi no. Il report di dettaglio è disponibile su Researchgate.

Si tratta di uno sportello di orientamento (non eroga contributi) che eroga servizi taylorizzati: vengono presi in carico 70/80 utenti all’anno, un percorso su misura di accompagnamento e “collegamento” con la montagna.

In parallelo allo Sportello, è stata attivata la “Scuola di Montagna”. Venti partecipanti selezionati ogni anno - abbiamo fatto già 3 edizioni - a fronte di centinaia di candidature da tutta Italia: una Scuola che è una residenza di 3 giornate di formazione e di esperienza diretta per i futuri abitanti della montagna. Si tratta di una formula mista “aula e territorio” – l’edizione 2024 si è tenuta in Val Pellice – che permette ai partecipanti di conoscere dal vivo le valli, le persone, le attività imprenditoriali, e di lavorare in piccoli gruppi sulla propria progettualità.

La buona prassi dello Sportello torinese è stata “replicata” in Friuli, dove la Cooperativa Cramars focalizza soprattutto il tema della casa e le opportunità e i bandi per i nuovi residenti, e a Bologna, dove è stato attivato uno Sportello dedicato all’Appennino (fragilissimo!) e all’imprenditoria. 

LUISA PUPPO Professor Membretti, la montagna ci salverà?

ANDREA MEMBRETTI No, la montagna non ci salverà, a meno che prima non salviamo la montagna con i suoi boschi, pascoli, luoghi, comunità di persone, tradizioni culturali, economie, diversità umana ed ecosistemica. Ci si salva tutti insieme o si affonda tutti insieme.

Occorre un approccio ecosistemico. Le migrazioni interne verticali in Italia sono possibili anche grazie alla presenza di lavoratori stranieri, specie in certe valli: stranieri che in molte località montane rappresentano l’80% della manodopera del settore dell’accoglienza ma anche dell’agricoltura, come evidenziato dalle ricerche di cui mi sono occupato in passato sul fenomeno delle migrazioni internazionali verso le Alpi gli Appennini: manodopera straniera che risulta fondamentale proprio in quelle aree montane dove oggi è presente l’overtourism (ad esempio l’Alto Adige).

I fenomeni vanno sempre trattati in ottica di insieme. Il cambiamento climatico – paradossalmente – è al tempo stesso la ragione per la quale gli abitanti del Centro Africa si spostano verso l’Europa e i ricchi si spostano dagli Emirati Arabi a Crans Montana in Svizzera. Ovviamente, siamo in presenza di una problematica di accesso alla montagna, là dove i regimi di mobilità dipendono anzitutto dalla carta di credito e dal passaporto posseduti da chi vuole muoversi.

LUISA PUPPO Quali sono i presupposti per agevolare i processi che stiamo approfondendo?

ANDREA MEMBRETTI I presupposti sono numerosi e "variegati".

  • L'accessibilità effettiva. Esiste un problema di parcellizzazione dei fondi, dei quali spesso non si conosce più la proprietà. Una miriade di risorse immobiliari, terreni, paesi abbandonati… Per (almeno) mettere a disposizione e utilizzare fondi e terreni serve un intervento normativo a livello nazionale, non si può delegare il livello locale, si deve muovere la politica.
  • Progettare un welfare della montagna come luogo di salute, recuperando colonie, hotel, edifici… ma a zero consumo di suolo, come dice Paolo Pileri nel suo intervento in “Migrazioni verticali”.
  • Intervenire sulla comunicazione e sulla ridistribuzione dei flussi, andando oltre il sottoutilizzo (due settimane all’anno) dell’alta stagione. Regioni come l’Alto Adige tendono a colonizzare di fatto l’immaginario collettivo della montagna, ma non esistono solo le Dolomiti. La montagna dovrebbe essere più plurale, Alpi e Appennino, ed inoltre non solo borghi “stereotipati”. Nella promo-comunicazione nessuna regione (nemmeno le Marche, peraltro molto attive) focalizza il tema dell’abitare: solo tipicità, borghi da cartolina, case in sasso, turismo esperienziale…
  • E’ fondamentale quindi sviluppare politiche per l’organizzazione del lavoro e lo smart working. Da dati UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) risulta come durante la pandemia i Comuni delle aree interne abbiano vissuto stagioni di rivitalizzazione sociale ed economica grazie alla presenza di lavoratori in smart working, persone “in fuga” dalla città. Fenomeno terminato col ridimensionamento post pandemico del lavoro da remoto, penso in primis alla pubblica amministrazione. Allo stato attuale, pochi – alcuni professionisti, i nomadi digitali… - possono davvero praticare il lavoro da remoto.
  • E poi serve lavorare a politiche migratorie adeguate. L’Italia punta sul supporto alla natalità, tema che non incide su aree montane a rischio spopolamento dove spesso l’età media della popolazione è over 60 (o 65). Nel DDL Montagna (disegno di legge per il riconoscimento e la valorizzazione delle zone montane) il tema della mobilità interna è assente, non ci sono misure pro migrazione, né interna né tantomeno internazionale (vero tabù per chi oggi governa il Paese). A mio avviso il DDL restituisce una rappresentazione passatista della montagna, che non investe sul futuro e genera o gentrificazione o abbandono, favorendo una visione identitarista delle terre alte, a rischio di chiusura autoreferenziale. Attualmente, a parte il caso di della Città Metropolitana di Torino, non vedo altri esempi incisivi di governance della metro-montagna, né tantomeno un’ottica di sviluppo e programmazione di area vasta: e i comuni sono lasciati da soli.
  • Infine, investire in infrastrutture fisiche e digitali: non bastano i casi di eccellenza come la val Poschiavo, smart valley svizzero che promuove l’azienda agricola digitale e l’uso intelligente del territorio montano.

LUISA PUPPO E quali sono gli ostacoli principali?

ANDREA MEMBRETTI Il contraltare di quanto abbiamo appena descritto.

  • Nel caso della montagna esiste la difficoltà ad accedere a risorse immobiliari, rappresentata anche dalla scarsità di affitti (a parte le locazioni turistiche).
  • Manchiamo di una politica di interconnessioni ed infrastrutture fisiche e digitali, così come di politiche metromontane. Chi si trasferisce in montagna a volte “torna indietro” per le difficoltà tra cui figli-scuole, per le burocrazie.
  • Non esiste una formazione delle persone rispetto alla montagna: viviamo una “bolla” culturale e mediatica attorno alla montagna ma non esiste un processo informativo affidabile. Non dobbiamo più ragionare solo in ottica turistica (peraltro, con l’eccezione dell’Alto Adige, il tema dell’educazione dei turisti sarebbe urgente…), ma di come formare alla residenza, alla vita quotidiana nelle terre alte, al rapporto con le comunità locali.
  • Circa i finanziamenti si spazia dai “deliri” del PNRR (20 milioni a borgo) ai micro-contributi, ad esempio in Piemonte ed Emilia Romagna (con lo stanziamento di € 40.000 alle coppie che si impegnano a risiedere almeno 10 anni nelle aree montane della regione), ma non c’è un’ottica di insieme collegata al lavoro.
  • Non abbiamo, come dicevo, politiche sulla migrazione e mobilità umana e sull’abitare diversificato.
  • In ultimo, mancano formazione e aggiornamento di amministratori pubblici e tecnici, anche rispetto all’utilizzo dei fondi pubblici oggi a disposizione e spesso non utilizzati.


Professore, grazie di questo tempo prezioso e di questa conversazione così ricca di spunti, buone prassi e “cibo per la mente”. E grazie soprattutto per il suo pathos militante. La sua intervista va ad integrarsi a quelle di altri valenti studiosi, che stanno rendendo BioVoci un “luogo” di alto scambio. A presto!

Luisa Puppo, BioVoci


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