Conversazione con Stefano Fera
Care Lettrici e Lettori di BioVoci, ho il piacere di
introdurvi questa volta l’Architetto Stefano Fera, dal 2023 Presidente della
sezione di Genova e neoeletto consigliere nazionale di Italia Nostra.
A Italia Nostra, associazione già onlus, oggi aps (fondata a
Roma nel 1955) attiva nella tutela del patrimonio naturale, storico, artistico e
culturale italiano, Umberto Curti ha non a caso dedicato uno dei lemmi di Sostenibilità
e Biodiversità, un glossario (ed. Sabatelli, Savona, 2023).
LUISA PUPPO Nel 1955 viene fondata Italia Nostra come
“reazione” a uno scellerato progetto di sventramento del cuore barocco di Roma.
Viene pubblicata sull’Espresso l’inchiesta “Capitale corrotta, nazione infetta”
di Manlio Cancogni (atto di denuncia della speculazione edilizia), e – ultimo
ma non ultimo -Italo Calvino ambienta proprio in tale stagione il cuore
dell’azione de “La speculazione edilizia” (prima pubblicazione 1957),
ambientato sulla Riviera ligure dell’estremo ponente. Per Italia Nostra, dunque,
quasi 70 anni di continue battaglie contro cemento e degrado ambientale. Per
colui che presiede oggi la delegazione genovese, il bilancio in realtà è sempre
tener alta la guardia?…
STEFANO FERA Sì e specialmente ora, in funzione della crescita delle minacce che incombono su città e territori: la grande disponibilità di investimenti pubblici e privati porta infatti non solo a fare, ma sovente a strafare e a fare male. La parsimonia, la povertà paradossalmente sono spesso strumento funzionale a conservare al meglio il patrimonio e il territorio. Per esempio si veda come non siano pochi i casi di famiglie antiche, che paradossalmente per le ristrettezze economiche abbiano conservato palazzi e ville più integri di quelle dotate di grandi mezzi. Troppi soldi sono pericolosi: oggi, per esempio, l’importante è attivare le misure del PNRR (peraltro si tratta di denari “in prestito” – non a fondo perduto - che le generazioni future dovranno restituire…), le iniziative proposte su questa cornice di intervento vengono non a caso accolte subito.
Bisognerebbe semmai fare cose che abbiano un senso. E
invece, ecco il “Mose di Genova”: la nuova Diga foranea. Tra l’altro, come sottolineato
dall’Ingegner Silva in una conversazione video pubblicata sul canale Youtube di
Italia Nostra Genova (https://www.youtube.com/watch?v=V9oln_JABQc.
), il progetto preliminare della Diga di Genova è stato realizzato da un gruppo
al cui capo era la Technital di Verona, la stessa società che ha, per
l’appunto, progettato il Mose.
Esiste un’incapacità tutta italiana di progettare e programmare investimenti
nei tempi e nei modi giusti. I fondi PNRR, non a caso, si concentrano nel
nostro Paese su due opere assurde, il Ponte sullo Stretto di Messina e la Diga
di Genova, la quale richiederebbe maggior attenzione e dibattito anche a
livello nazionale: il cantiere è stato avviato, ma i lavori non riescono ad
andare avanti perché il progetto è fondamentalmente sbagliato, i rincari previsti
sono già astronomici, e il clima generale a mio parere è quanto meno “opaco”,
per usare un eufemismo.
LUISA PUPPO Italia Nostra nel tempo si è attivata sui filoni ricerca, formazione, editoria, volontariato culturale... Il suo impegno soprattutto dove si sta direzionando (anche in funzione del tempo presente e dei new media)?
STEFANO FERA L’impegno è su più fronti ma vorrei si
concentrasse soprattutto su due temi: ambiente e coinvolgimento dei giovani.
Sono un architetto, mi occupo di restauro, di conservazione
e tutela del paesaggio rurale e urbano. Tuttavia oggi l’ambiente è diventato
focus ancor più prioritario rispetto al passato a causa del problematico
rapporto tra lo sviluppo delle energie rinnovabili e la tutela del paesaggio. A
questo riguardo, Italia Nostra stimola le amministrazioni pubbliche circa
l’urgenza del censimento delle cosiddette “aree idonee” per gli impianti delle
FER industriali, in modo tale che gli operatori economici del settore non “aggrediscano”
indiscriminatamente anche i territori che andrebbero invece salvaguardati. Inoltre,
i forti incentivi garantiti alle rinnovabili, purtroppo, ha attratto
l’interesse (e i capitali) anche delle mafie. Senza contare che, alla fine tali
incentivi ricadono sugli utenti mediante sovraccarichi sulla bolletta.
Alcune rinnovabili presentano poi ulteriori criticità. Si
tratta spesso (come nel caso di eolico, fotovoltaico) di fonti energetiche
intermittenti, cioè che non danno garanzia di continuità. Diverso è il caso, ad
esempio, dell’idroelettrico e della geotermia. Ma anche con la geotermia
occorre distinguere tra metodi invasivi (come nel caso della centrale
geotermica di Lavarello, in Toscana) e metodi non invasivi come le sonde
geotermiche per impianti domestici che potrebbero avere una loro maggiore
efficacia se inseriti in ampie ed efficienti comunità energetiche.
Altro tema prioritario per Italia Nostra, come dicevo, è poi
il coinvolgimento dei giovani. L’Associazione è “invecchiata” (mi riferisco
all’età dei Soci), pertanto dobbiamo trovare il modo di dialogare (usando gli strumenti
per loro abituali quali il web e social). Abbiamo già in essere collaborazioni
con scuole, università, e vi sono accordi col Provveditorato agli studi per
attività di formazione dei docenti e - a cascata - degli studenti. Ma
l’obiettivo è coinvolgere il mondo giovanile che già è attivo nei comitati civici,
al fine di “fare massa critica”.
LUISA PUPPO ad inizio anni ’70 Montanelli “diffonde” in TV il termine “rapallizzazione”, qualche anno fa esce pamphlet “Il partito del cemento” a firma dei giornalisti Ferruccio Sansa e Marco Preve. Vogliamo -anche modificando questa espressione! - delineare in cosa potrebbe e dovrebbe consistere davvero il “modello Genova”/il “modello Liguria”?
STEFANO FERA La Liguria è tanto bella quanto complessa, si sa, soprattutto dal punto di vista delle infrastrutture. La rete autostradale sconta difficoltà di gestione dovute alla presenza impattante di lunghi viadotti e strette gallerie. Inoltre, per secoli Genova ha “usato” i monti come Venezia la laguna, cioè per isolarsi e difendersi: nel Seicento (lo stesso secolo dell’epidemia di peste che decimò la popolazione) vennero posti in essere sforzi incredibili per dotare i monti attorno alla città di una nuova cinta di mura. Vi fu un rifiuto programmatico di costruire strade – perché queste avrebbero potuto facilitare l’arrivo di eserciti ostili che scontiamo ancora oggi, viviamo dunque un problema con radici antiche. Nell’Ottocento, appena Genova passò al Piemonte, per prima cosa i Savoia avviarono i lavori per la realizzazione della Carrettabile Carlo Alberto, per consentire ai carri trainati da buoi e alle carrozze di attraversare finalmente la città. E dal 1853 il treno viaggiò verso e da Torino…
Dal punto di vista delle infrastrutture, interagire con
questo sistema antico è assai complesso e delicato. Tuttavia, è anche un punto
di forza per l’entroterra ligure, caratterizzato - da sempre - da una capillare
rete di insediamenti (ormai purtroppo vastamente spopolati) collegati tra di
loro mediante percorsi ramificati e molto antichi, oggi in parte valorizzati da
quella meraviglia che è l’Alta Via dei Monti Liguri.
Come mantenere integro e a valorizzare questo territorio? La
problematica prioritaria da affrontare è quella dei trasporti. Grazie anche
alle nuove tecnologie e alla opportunità della rete molti giovani sarebbero
interessati a trasferirsi nelle aree interne. Ma occorrono finanziamenti per riattivare
quegli antichi percorsi senza stravolgerli e intervenire sulle infrastrutture
ferroviarie (un esempio su tutti la linea Genova – Acqui, odissea per tutte le
stagioni che diventa inferno in estate…).
La Liguria, – infatti, – non è solo la Riviera “stereotipata”
dell’immaginario turistico italiano e straniero: la Liguria è monti e colline,
affascinante, ma difficile da abitare, verticale, talvolta vertiginosa. Genova
e la regione tutta devono trovare soluzioni basate sulle loro specificità
antichissime e sui loro spazi, non “copiare” supinamente quanto realizzato
all’estero nelle grandi città. Cosa hanno in comune Genova e Parigi, o Genova e
Barcellona (sempre portata ad esempio, da mito a tormentone, vedasi ramblas
ecc.…)?
Pensiamo alla metropolitana genovese: quanti denari spesi
per una infrastruttura residuale dai costi di gestione elevati, per un servizio
che in passato era già svolto dai tram (il “10”). O allo Skymetro, quando si
poteva realizzare una tramvia (simile a quella di Nizza), o alla funivia di
Begato, che i residenti giustamente rifiutano. Opere come queste rispondono a
bisogni immaginari da città “futuristica”, caratterizzata da infrastrutture
clamorose, sensazionalistiche, che nulla hanno a vedere con le concrete
esigenze della città reale. Ma Genova ha risorse sue ed uniche: cito solo Strada
Nuova, un unicum mondiale, perché non esiste da nessun’altra parte al mondo un
rettifilo costruito tra metà Cinquecento e Seicento tutto incentrato
sull’invenzione rinascimentale della prospettiva.
LUISA PUPPO – Architetto, approfondirebbe il tema della dicotomia tra urbanità diffusa e metropolizzazione? Come si sviluppano le città?
STEFANO FERA. Ovunque in Italia, non solo nei capoluoghi, si ha una elevata qualità della vita urbana (assente in altri Paesi come, per esempio, la Francia). Qualità diffusa su tutto il territorio nazionale, non solo nelle grandi città, ma anche nei centri più piccoli, nelle aree rurali, nei laddove castelli, ville, cascine, abbazie, santuari, … costituiscono veri e propri insediamenti urbani, seppure a scala ridotta. Si tratta del maggiore lascito di epoca romana, legato al sistema infrastrutturale delle strade consiliari consolari: quali la Via Appia (la Regina Viarum), la Via Aurelia, la Via Emilia, la Via Postumia, ecc. che nel loro insieme costituiscono la rete lungo la quale si sono sviluppati nei secoli i vari insediamenti urbani, divenuti poi nel tempo liberi comuni, città capitali, città stato, borghi di nuova fondazione, ecc…
Tuttavia, noi soffriamo ancora di provincialismo, il
riferimento obbligato è la “metropoli”, soprattutto nordamericana e nordeuropea.
Un complesso di inferiorità che ci portiamo dietro dalla ricostruzione del
secondo Dopoguerra. Ma la bellezza grandezza e l’importanza di Milano non è certo
data di dal suo presunto essere “la New York italiana”, bensì è di essere una “città
lombarda” fortemente inserita e connessa alla potentissima e antichissima rete
delle altre città lombarde. La sua bellezza non si deve certo a edifici come il
Bosco Verticale, ma alla sua contiguità e somiglianza con tutto quello che ritroviamo
a Vigevano, Pavia, Lodi, Abbiategrasso, Legnano, Como, Lecco, Bergamo, Brescia,
Crema, Cremona, ecc…
In questo quadro si inserisce il fatto che ormai le città
sono costruite dalla finanza, da forze esogene che hanno sostituito quelle
endogene, perché in passato la città “si costruiva” dall’interno. L’enorme
massa di denaro virtuale che, a differenza delle persone, si muove liberamente nel
mondo deve per forza “atterrare” da qualche parte e, nel caso dell’Italia, si è
deciso che ciò debba avvenire soprattutto a Milano. I grandi fondi di
investimento costruiscono case che vendono ad altri fondi – e le case rimangono
vuote, i quartieri vuoti… penso a Genova al pazzesco caso delle cosiddette Torri
Faro, inutilizzate e vuote da anni.
Infine, un cenno al fenomeno delle Multi Utility (quotate in
borsa e regine dei dividendi!) nate per sostituire la gestione pubblica dei
servizi fondamentali: un regalo (o una svendita) a soggetti privati che sta
cannibalizzando le città, così come degradando la sanità pubblica. In Italia e
all’estero (penso alla Francia), la qualità della vita si abbassa in nome di
queste liberalizzazioni scriteriate, una criticità che suscita ancora poca
attenzione da parte dei comitati civici, per altro molto presenti e agguerriti
su altri temi. In tutto ciò, dove è, qual è la visione di lungo periodo
dell’opposizione a chi governa? Da Sala a Milano (con la perpetuazione del
cosiddetto Rito Ambrosiano) alla giunta Gualtieri a Roma il quadro è desolante…
LUISA PUPPO Sempre in tema di criticità, anche quest’estate si è molto discusso di overtourism. Gli amministratori pubblici (anche in Liguria) oscillano tra ticket di ingresso, sentieri a senso unico, aumento delle tariffe ferroviarie per i turisti, campagne promozionali controverse e sindrome del “sold out” (la gara a chi si vanta di più degli arrivi turistici)… Qual è il Suo punto di vista, dato che anche Umberto Curti propone una swot analysis di quei luoghi ai corsisti che diverranno Guide Ambientali?
STEFANO FERA Partiamo dai fondamentali. Basta mortai
gonfiabili. Puntiamo su una comunicazione intelligente che faccia capire cosa è
Genova, e cosa è la Liguria, che è molte cose insieme, spesso contrastanti e discordanti
tra loro. “Oltre” le Cinque Terre: costa e entroterra, al di là di confini
amministrativi senza senso (mentre incombe la minaccia dell’autonomia
differenziata), là dove fortissimi sono – ad esempio - i legami storici tra
Genova, Liguria e Basso Piemonte… Circa il contrasto all’overtourism, i ticket
(contributi di accesso) non sono la soluzione, a problemi complessi occorrono approcci
più smart articolati: limiti agli affitti brevi (su questo nessun intervento in
vista a livello nazionale, per ora…), incentivi per l’insediamento dei giovani in
contesti storici (nel centro storico genovese molti palazzi non possono essere
dotati di ascensore, mancanza tollerabile per i giovani…), supporto al
commercio al dettaglio (non solo alla grande distribuzione).
LUISA PUPPO Azioni per mantenere e vivacizzare il tessuto
sociale e commerciale dei centri storici, in particolare di Genova, con la
(magnifica) antica casbah dei carruggi… Architetto, come procedere?
STEFANO FERA In prima battuta affrontando il tema della
proprietà edilizia, occorre conoscere come è composta. Esistono ancora
accorpamenti in capo a famiglie ed enti religiosi ed è con questi soggetti che
bisognerebbe fare i conti. In una guida di Genova del di un mio bisnonno ho
letto che a fine Ottocento a Genova si contavano oltre 200 conservatorie, pii
lasciti, fondazioni religiose, opere pie, ecc. nate dal desiderio di…
garantirsi il paradiso. Le conservatorie gestivano infatti denari e lasciti
legati alle cosiddette messe perpetue e alle indulgenze. I patrimoni
immobiliari di questi pii istituti sono inalienabili, e ciò spesso genera una
non corretta gestione degli stessi: igiene, sicurezza… A titolo di esempio,
dagli spandenti (cassoni sui tetti degli edifici) l’acqua scende per gravità,
ma se un appartamento è vuoto – in assenza di galleggianti – l’acqua è inutilizzata
finisce nelle fognature. Se un immobile non è sul mercato, degrada, e quando si
ristruttura la ristrutturazione sarà “pesante”. Anche in passato c’era la
volontà (per motivi speculativi) di far andare in malora gli edifici per
abbatterli (ricordo il caso di due alcune proprietà importanti in via Madre di
Dio a Genova, danneggiate apposta per allontanare gli inquilini riluttanti ad
andarsene…). Il diradamento del centro storico genovese (tema di gran voga
negli anni Settanta) implicherebbe lo smantellamento del centro storico stesso,
togliendo densità urbanistica – cioè il carattere principale della città antica!
Siamo nel paradosso: si sta attualmente discutendo della valorizzazione del
cosiddetto grattacielo di piazza Caricamento, simbolo della miopia di
quell’epoca e di quella visione... Siamo ciechi rispetto a quanto di bello
abbiamo, viviamo nel bello, ma non ne abbiamo consapevolezza.
Cospicue quantità di denaro sono state investite nel fornire
le case di “cappotti” di polistirolo (scelta che mostra ora tutti i suoi
limiti), come mai altrettante risorse non vengono destinate al restauro
filologico? Parlo di fondi, ad esempio, per il recupero delle coperture degli
edifici storici: la Liguria propone scandole di castagno, ciappe di ardesia
(con lavorazioni che differiscono tra costa ed entroterra)… La burocrazia e le
sue forche caudine, si dice come al solito. A titolo di esempio: come è
possibile, in nome della normativa europea, esigere dai (rarissimi, ormai)
maestri d’ascia in grado di sagomare i travetti di castagno, necessari per il
recupero di un rustico, la certificazione di origine del legno? L’artigiano non
la può fornire. Così pure il sistema delle certificazioni impedisce di recuperare
le antiche finestre di pitch pine, quand’anche tuttora efficienti e assai
belle. Anche in questo settore (come in quello alimentare), le lobby che si
muovono a Bruxelles puntano a distruggere le produzioni locali. Le norme
comunitarie, le loro rigidità, la mancata contestualizzazione sui contesti
locali hanno, tra gli effetti, la crescita di edifici “brutti”, l’abuso del
vetro, il peggior materiale da costruzione mai concepito da mente umana:
comporta infatti elevati costi per raffreddare gli ambienti in estate, una
priorità assoluta per i contesti mediterranei (dove anticamente all’interno
degli edifici venivano infatti ricreati ambienti “a grotta” per proteggere dal
caldo soprattutto gli alimenti). Sia chiaro, l’Europa non è solo burocrazia o
vincoli: il programma Erasmus ha rappresentato una rivoluzione in termini di
opportunità ed apertura mentale per i giovani.
LUISA PUPPO Mondo ambientalismo: wildlife stays, wildlife
pays. Come lo applichiamo anche ai patrimoni culturali? Mi aiuta a conciliare
il costante iato tra tutela e marketing?
STEFANO FERA Esistono interessanti buone prassi, come il Landmark
Trust, realtà no profit britannica dedita alla conservazione e al recupero di
edifici storici: fondato nel 1965, nacque per l’iniziativa di una coppia
facoltosa, che iniziò ad acquistare begli immobili antichi in aree fuori dai
circuiti turistici principali che non avrebbero avuto mercato immobiliare. Una
scelta che ha attivato un circolo virtuoso di finanziamenti e donazioni. Gli immobili restaurati vengono aperti al
pubblico, soprattutto per l’attività ricettiva. Sarebbe un modello di
intervento auspicabile ad es. per l’Abbazia di Tiglieto, una splendida
proprietà che dopo varie vicissitudini viene ora proposta in vendita da
un’agenzia immobiliare del segmento luxury, che segnala la possibilità di
costruire un eliporto in situ. Cosa c’entra un eliporto?! Un bene di questo
tipo, per fortuna, non si venderà mai a gente che va in giro in elicottero, ma va
invece allocato in modalità efficace con una collaborazione pubblico/privato e
la garanzia di una sostenibilità a 360°: funzione ricettiva potenziale,
redditività, ma anche intervento pubblico. Agli amministratori manca sovente la
fantasia (non la stravaganza, purtroppo) e la curiosità di guardarsi intorno
per formarsi.
LUISA PUPPO Sintetizzando al massimo: cittadinanza attiva, azione
popolare, ma… progettazione non partecipata: come scardinare questo paradigma? Quali
le principali battaglie per la nostra regione?
STEFANO FERA Persino in questa stagione di scelte non
condivise, le cose possono cambiare. Occorre creare massa critica, penso al
grande lavoro di Raffaella Capponi per la costituzione della Rete dei comitati
genovesi e ora per la Rete dei comitati liguri. Le battaglie da portare avanti
sono molte, in primis il no al rigassificatore di Vado Ligure (che in realtà
impatta un territorio assai più vasto…), in Liguria abbiamo già quello della
Spezia, e poi il tema della mobilità ferroviaria, a rischio in quanto con
l’Alta Velocità le tratte locali sono marginalizzate. Serve un’azione di
lobbying tra gli utenti dei percorsi regionali e interregionali, ma intanto fra
Finale Ligure e Andora si marcia ancora su un solo binario.
LUISA PUPPO Caro Architetto, ci avviamo alla conclusione. Le
pongo un quesito che ho posto anche al Professor Settis: perché le lobby del
bene sono così soccombenti rispetto alle lobby del male?
STEFANO FERA È vero, dobbiamo imparare a fare lobbying per
perseguire i nostri risultati e contrastare lobby potenti (Uber Francia
insegna…). Dobbiamo, come già affermato più volte, fare massa critica.
LUISA PUPPO Una ultima domanda di natura fortemente
politica: se lei avesse la bacchetta magica, dove interverrebbe subito per
tagliare il legame affarismo e politica che abbrutisce tanto nostro Paese?
STEFANO FERA Intanto vorrei che qui sparisse il problema dei
container che devono lasciare Genova su gomma. Grazie al trasporto intermodale
ferroviario, i container lascerebbero il porto su ferro, e questo - contestualmente
- smentirebbe la necessità della Gronda, il cui progetto nasce dall’intasamento
di container nel nodo stradale e autostradale genovese. Non più camion
portacontainer, un problema infrastrutturale (e lobbying bipartisan delle
grandi opere) in meno…
Luisa Puppo, BioVoci
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