Olio extravergine, una buona annata


Una piattaforma come BioVoci non potrebbe trascurare il tema olio extravergine (tanto più oggi che le agromafie e le truffe alimentari si susseguono). E’ un tema su cui sono intervenuto infinite volte, e lo “rievoco” in questi giorni che paiono confermare anche in Liguria una positiva annata “di carica”.

Così come per il vino, anche circa l’olio l’Italia primeggia in “varietà”: vanta addirittura il maggior numero di cultivar al mondo. Cultivar non è – sebbene molti lo pensino - latino, ma deriva da contrazione di cultivated variety.

Il Registro nazionale delle varietà delle piante da frutto ne sciorina oltre 500, e la Liguria è fra i protagonisti nazionali, incontriamo infatti più d’una quarantina di cultivar, di cui circa 15 “in uso” (altre sono state via via “dismesse”, per fragilità della pianta, o per mediocri rese…). Tutte sono elencate su www.ligucibario.com. (leggi qui tutte le olive di Liguria). In Liguria gli olivicoltori, al pari dei colleghi vignaioli, operano su terreni difficili: l’espressione “coltivazione eroica” è legata ad un’orografia complessa, dove non a caso molte fasce vennero giocoforza terrazzate dai muretti a secco (dal 2018 patrimonio UNESCO). Gino Veronelli (che ebbi il privilegio di conoscere e la cui mamma era nata a Finalborgo) denominò gli olivicoltori liguri “angeli matti”… Tanta qualità, ma poca quantità: e si rammenti che per spremere un litro d’olio necessitano, sempre, almeno 6-7 chili di drupe, e talvolta ben di più, il doppio circa…

Chi come me “pratica” gli extravergine connette l’eccellenza anzitutto alla cura degli oliveti, all’igiene dei macchinari estrattivi (quasi ovunque i fiscoli sono scomparsi), insomma all’intera filiera del percorso produttivo… La “estrazione a freddo” che talora presenzia in etichetta, inoltre, assicura che la massa in lavorazione non abbia mai oltrepassato i 27°C, e ciò garantisce le doti migliori, l’amorosa corrispondenza fra l’oliva colta in partenza e l’olio che ne è derivato più giù a valle, tra cui – godiamocela - una sensazione di “fruttato” sano, fresco, pulito…

DOP (Denominazione di Origine Protetta) individua – cito pressoché testualmente le regole di settore - un prodotto agricolo o alimentare originario di un territorio determinato, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare geoambiente, inclusi i fattori naturali e la sapienza umana, e la cui produzione, trasformazione e elaborazione avvengono tutte nel territorio delimitato dal protocollo disciplinare.

In tale ottica, 3 sono le sottozone o sottomenzioni produttive dell’olio extravergine DOP Riviera Ligure, da Ponente a Levante scopriamo infatti questa “geografia”:

  • Riviera dei Fiori, dove l’olio viene estratto da olive “Taggiasca” per almeno il 90%
  • Riviera del Ponente Savonese, dove l’olio viene estratto da olive “Taggiasca” per almeno il 50%
  • Riviera di Levante, dove l’olio viene estratto da olive “Lavagnina”, “Razzola”, “Pignola” e cultivar locali riconducibili alla “Frantoio” per almeno il 65%.

Spicca sicuramente la Taggiasca come celebrità del Ponente, un’oliva-alimento (vale sia da olio sia da mensa), poca polpa e molto sapore, e benché non autoctona (il nome allude alla città di Taggia nell’Imperiese ma vi pervenne grazie a monaci dall’Asia…) essa si è mostrata attraverso i secoli molto versatile, resistente, dalla produttività alta e regolare. Ma la Liguria ospita altre primedonne, l’arnasca, la colombaia, la lavagnina, la pignola, la razzola…

Aldilà degli “abbinamenti” gastronomici, quanto mai importanti per non nuocere al piatto né all’olio, va anzitutto chiarito una volta per tutte un aspetto cruciale: cosa differenzia olio extravergine di oliva e olio di oliva? Quanti consumatori e gourmet realmente lo sanno?

L’olio extravergine di oliva si connota subito per un dato specifico: il livello di acidità totale dev’essere al massimo di 0,8 g per 100 g di olio, trattasi di un dato ricavato da un’analisi in laboratorio (non gustativa), che nondimeno esprime una distanza abissale tra 1)un prodotto quasi prodigioso, dalle infinite proprietà nutraceutiche: polifenolico, emolliente, colagogo…, e che si distingue per il fruttato e la mancanza di difetti; e al contrario 2)un prodotto – l’olio di oliva NON extravergine – impossibilitato alla classificazione extravergine e dunque “migliorato”/raffinato tramite rettifica chimica e - successivamente – tramite l’aggiunta solo di una parte di extravergine, dunque un olio “anonimo”, senza peculiari valori e da impiegarsi più che altro per cucinare e friggere, alternativa ai monoseme (ad es. l'olio d'arachidi), poiché gli olii vegetali palesano, a differenza del burro, un punto fumo elevato (indicativamente 190-230°C).

Quando si assaggia un olio extravergine, aldilà degli snobismi da guru (che detesto), vengono allertati i sensi in primis della vista, ma poi principalmente dell’olfatto e del gusto. Di colore giallo dorato brillante, l’olio extravergine ligure può mostrarsi all’olfatto, e poi al gusto, ricco di sentori vegetali tra cui cogliere ora il pinolo, o la mandorla, o il carciofo, la mela, l’erbaceo, il rosmarino... Tenuemente o mediamente fruttato, in bocca si svela sempre dolce, piacevolmente delicato, sottile e non invadente accanto ai cibi che condisce. Le “punte” d’amarezza e pungenza dovute ai benefici polifenoli (antiossidanti naturali!) paiono sempre minime, ed in felice armonia, posizionando i DOP Riviera Ligure come olii “precisi”, mediterranei, garbati, non per caso compagni dei pinzimonii, delle verdure fresche di stagione, dei carpacci e delle insalate di mare, di piatti realizzati con cotture non impattanti, e addirittura di pastefrolle – si pensi alla torta stroscia di Pietrabruna (IM) - e alcune altre ideazioni da pasticceri… Olii idonei, pertanto, ad avvicinarsi alle pietanze valorizzandole. L’augurio finale è perciò che gli hotel, i ristoranti, gli agriturismi ecc. più attenti al territorio e al buonessere pensino anche a “carte degli olii” (più che delle acque?), per salvaguardare e promuovere un’ottima tradizione, che da secoli e secoli inorgoglisce la Liguria.

Infine, è doveroso ricordare che l’olio extravergine è assai deperibile e necessita di una corretta conservazione, per conservare tutti i caratteri migliori… Andrà dunque riposto in ambienti freschi e al riparo dalla luce, a temperature fra 14 e 18°C, protetto da fonti di calore e “sussulti” termici. È infine consigliabile berlo “giovane”, ovvero se possibile entro pochi mesi dalla molitura (“olio nuovo, vin vecchio!” si recitava un tempo nelle zone rurali, e la prima metà dell’esortazione mi sembra tuttora opportuna).

Umberto Curti        BioVoci

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