Dalla Val Trebbia la lezione di Giorgio Caproni
Giorgio Caproni è sepolto nel silenzioso cimiterino di Loco di Rovegno, in Val Trebbia, lungo la “route” numero 45 che da Genova conduce alla magnifica Bobbio e poi a Piacenza.
E’ un territorio verde, boscoso a perdita d’occhio, dove oggi i trekkers, i cicloturisti e i patiti della moto si danno convegno, incontrando via via sul loro percorso santuari, rifugi, buone trattorie…, dove assaggiare anzitutto la pasta e fagioli, i funghi con le patate, i canestrelli e le castagne. Sapori contadini, a cavallo tra Liguria ed Emilia, che non temono la modernità.
Nato a Livorno nel 1912, Caproni giunse a Genova ancora bambino.
La sua penna prolifica ci ha lasciato poesie toccanti, traduzioni (fra cui Louis Ferdinand Céline, 1964), nonché prose e saggi. L’opera in versi si sviluppa attraverso alcune raccolte decisive, “Come un’allegoria” (1936), “Cronistoria” (1943), “Stanze della funicolare” (1952), “Il passaggio di Enea” (1956), “Il seme del piangere” (1959). Nell’insieme, una lirica vicina alla gente e pur di cifra versificatoria alta, accuratissima.
Tra le pagine, sempre quella passione lacerante del narrare la dimensione genuina delle opere e del tempo, dei giorni e borghi rurali (come in una tela divisionista?), dei cari con cui condividere la vita. Stagione dopo stagione, prende così forma quell’audacia del vivere appartato, a tratti venato di malinconia, che Caproni descrisse e celebrò lungo tutta la sua maturità fisica e artistica, abitando un mondo che prima la guerra (Caproni militò nelle file della Resistenza) e poi il dopoguerra stesso avevano squassato e in gran parte svuotato. Gli episodi bellici emergono intensi ne “Il passaggio di Enea”, ma la frattura, il disorientamento, si avvertono soprattutto nel passaggio da forme classiche, quali il sonetto, a metriche viceversa frante, sofferte, talora inattese, tracce genetiche di una personalità che va confrontandosi con un tempo sempre meno decifrabile. Balena per fortuna il tema “metafisico”, ed insieme quotidiano, del rifugio: l’ascensore di Castelletto a Genova che - quasi metafora di un transito esistenziale - potrebbe condurre il poeta in paradiso; la Val Trebbia dove ancora è dato vivere felici, fra valori semplici, e lontano dagli ingannevoli clamori; l’insegnamento nella scuola elementare di Loco, a contatto con la tenerezza dei bambini; e last not least la figura della moglie (Rosa nella realtà anagrafica, Rina nelle composizioni del marito), donna intesa come simbolo di protezione e di tenacia, di decenza quotidiana.
Giorgio Caproni morì a Roma nel 1990. Una targa nella natìa Livorno lo ricorda come “poeta delicato e forte”. In Liguria, da alcuni anni gli è intitolato a Montebruno e dintorni quel Parco Culturale che permette al visitatore non frettoloso un’esperienza letteraria ed escursionistica di valore. I Parchi letterari, come noto, celebrano con percorsi, pannelli e “tappe” le figure di romanzieri, poeti ecc. che sono nati/hanno vissuto in quel luogo. Sono aggregati di paesaggi, sentieri, ruralità, case…che si legano alla biografia o all’opera dello scrittore, che l’hanno “ospitato” o ispirato. Quasi sempre vi si organizzano passeggiate con letture. Agli Amici di BioVoci il volume-viaggio che suggerisco è stavolta Pagliani-Marcarini, Route 45: la val Trebbia. Una strada tra civiltà e paesaggio, ed. Diabasis, Stradello S. Girolamo (PR), 2009.
Umberto Curti BioVoci
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